A Real Pain di Jesse Eisenberg, la recensione del film

A Real Pain

La tristezza e il dolore si manifestano in modi molto vari, ma anche in tempi diversi. Quello del dolore è infatti, già dal titolo, il tema centrale di A Real Pain, secondo film da regista per Jesse Eisenberg che ne è anche l’interprete principale e autore. Si tratta di una commedia agrodolce che in meno di due ore ci permette di entrare nel microverso dei due cugini Benji e David, discendenti da una sopravvissuta all’Olocausto che si trovano a ripercorrere la vita della nonna in un viaggio in Polonia che li porterà ad avvicinarsi come mai prima.

Seguendo un viaggio organizzato alla ricerca delle proprie radici, ultimo desiderio della nonna defunta, i due cugini ripercorrono la vita della comunità ebraica polacca, toccando – inevitabilmente – anche le questioni più tragiche del Novecento. Le due personalità dei cugini vengono fuori in questo contesto quasi da road movie: se Benji cerca di trovare un senso a tutto, in continua ricerca di una catarsi e, in primis, in cerca di se stesso, David è forse colui che rimane più arricchito dal viaggio.

Proprio come il suo omonimo biblico Beniamino, Benji è amato da tutti. Fuori dalle righe, imprevedibile eppure incredibilmente affabile e carismatico. Nel suo breakout role cinematografico Kieran Culkin interpreta un personaggio complesso e sfaccettato che incarna alla perfezione il dramma della generazione contemporanea. Anche se inquadrato come ruolo di supporto, quello di Benji è il centro della narrazione che pure avviene dalla prospettiva di David (Jesse Eisenberg), preciso, “assennato” neo papà che lotta con il suo lato ossessivo-compulsivo ed emotivamente costipato, un conflitto interiore portato ancora più in superficie dal confronto con il cugino.

A Real Pain non è un film sull’Olocausto, non offre una prospettiva diversa sul tema, ma è un film prettamente esistenzialista, che non solo naviga tra i rapporti umani e tra le diverse manifestazioni del dolore, ma racconta anche un aspetto centrale della contemporaneità, soprattutto per la popolazione americana, ovvero quello dell’identità. L’appartenenza a una comunità, tanto etnica quanto religiosa, è sia una sicurezza quanto un fardello. In uno Stato che deve la sua stessa essenza all’immigrazione, il confronto e il debito con le radici sono un tema centrale dell’identità dei vari gruppi e, in questo contesto, la sopravvivenza al genocidio ebraico ha un peso ancora maggiore. 

Jesse Eisenberg si dimostra un regista e un autore posato, con un approccio al contempo fresco ma con un chiaro debito al cinema indipendente americano, dal tardo Woody Allen (con cui ha spesso lavorato come attore) a Noah Baumbach, passando per Louis Malle, con i due personaggi che ricordano tanto i Meyerowitz quanto i protagonisti di My Dinner with André. Altra nota di merito va alla giovanissima casa di produzione Fruit Tree, fondata anche da Emma Stone nel 2022 che, frutto anche della collaborazione tra Stone e Lanthimos, ha già riscosso diversi successi con un’offerta cinematografica singolare.

In una corsa all’Oscar fatta da titoli che cercano la grandezza in maniera altisonante, A Real Pain riparte con semplicità dalle basi, imponendosi come uno dei titoli più interessanti di questa stagione.

Alberto Militello