Echo Valley, la recensione del film di Michael Pearce

Echo Valley

Echo Valley, nuovo thriller in casa Apple diretto da Michael Pearce e sceneggiato da Brad Ingelsby (showrunner dell’acclamata miniserie HBO Mare of Easttown), avrebbe probabilmente trovato più fortuna come giallo letterario. Senza la possibilità di nascondere i suoi limiti dietro a pagine di introspezione, Echo Valley è un ritratto inconsistente di una famiglia spezzata alla quale non basta il peso della tragedia per trovare effettivi slanci drammatici. A mancare, infatti, è un qualsiasi guizzo audiovisivo capace di dare maggiore sostanza a un intreccio semplice e prevedibile, per quanto ricco di colpi di scena.

La storia del film ruota attorno a Kate Garrett (Julianne Moore), una donna segnata da una tragedia personale che conduce un’esistenza solitaria addestrando cavalli nella sua fattoria, tra i paesaggi isolati della Pennsylvania. La sua quotidianità viene stravolta quando, nel cuore della notte, la figlia Claire (Sydney Sweeney) irrompe in casa in stato di shock, ricoperta di sangue. Mentre Kate cerca di ricostruire la verità, si troverà a fronteggiare dilemmi morali sempre più complessi, soprattutto in seguito all’entrata in scena di un misterioso criminale (Domhnall Gleeson), il quale minaccerà di far crollare i già fragili equilibri familiari.

Ad eccezione della protagonista, interpretata con misura e controllo da Moore, tutto il resto funge da contorno vuoto, inessenziale se non come “aiuto” per la progressione narrativa del film. In particolar modo, le figure che ruotano attorno a Kate non sono nient’altro che mere funzioni narrative, accessorie, private di ogni altra sfumatura e caratteristica. L’ex marito Richard (Kyle MacLachlan), ad esempio, appare in una singola sequenza per staccare un assegno che giocherà un ruolo fondamentale per la trama. L’amica Jessie (Fiona Shaw) è una pedina utile solamente per attribuire un senso alla risoluzione del film. Persino la figlia di Kate, Claire, centrale in quanto motore dell’intrigo, è poco più che una comparsa.

Per un thriller, è chiaro che questi elementi non bastano a conferirgli un’anima, né tantomeno una vera identità. A salvare il film dal disastro è, almeno in parte, la presenza – come nella costruzione del personaggio di Kate – di una certa sobrietà che ne accompagna l’intero sviluppo. Echo Valley, da questo punto di vista, si configura come un’esplorazione sincera del trauma della perdita, pur rischiando talvolta di sfiorare quella deriva hollywoodiana recente che tende a sconfinare nel trauma porn. Fortunatamente, Pearce evita tali eccessi – sebbene la relazione tra Kate e Claire sembri talvolta orientarsi in quella direzione – preferendo un’indagine più intima e raccolta, ancorata al passato della protagonista. Non è comunque abbastanza per fungere da base solida a un thriller così tiepido, povero di reali sussulti, nonostante i numerosi snodi narrativi (non sempre credibili) sembrino voler suggerire una maggiore profondità.

Daniele Sacchi