Due anni fa, M3gan chiudeva al box office con 180 milioni di dollari a fronte di un budget di soli 12 milioni. All’origine del successo del film, l’idea di Blumhouse e di Atomic Monster di prendere un topos dello slasher, la bambola assassina, e di trasformarlo in un puro meme, tra gag discutibili e balletti da TikTok. Cavalcare l’onda dei meme, però, è un’arma a doppio taglio, che vive – per sua natura – di trend e di suggestioni effimere, non sempre capaci di avere una presa capillare sul pubblico. È così che M3gan 2.0, pur riprendendo lo spirito del comunque fallace primo capitolo, fallisce nell’individuare un quadro più grande, riducendosi a una raccolta di segmenti isolati, sciatti e raffazzonati, completamente intrisi dalla loro autoreferenzialità memetica.
M3gan 2.0, anche questa volta una co-produzione Blumhouse e Atomic Monster con Gerard Johnstone alla regia, abbandona completamente la matrice horror originaria (nonostante non vi abbia mai attinto pienamente) per tuffarsi in un universo semantico molto diverso, un mélange più vicino all’action, a una certa fantascienza (Terminator 2) e al thriller cospirativo. Nello specifico, la protagonista del film, l’ingegnera robotica Gemma (Allison Williams), è costretta a riattivare la sua creazione, la bambola robot M3gan, per affrontare una temibile minaccia globale. Si tratta di Amelia (Ivanna Sakhno), una androide militare progettata proprio a partire dall’intelligenza artificiale alla base di M3gan e che ora è diventata autonoma e senziente.
M3gan 2.0 si sviluppa dunque come una mission impossible che vede le protagoniste del primo film riunirsi – insieme anche a Cady (Violet McGraw), la nipote di Gemma – mettendo da parte gli attriti del passato (per usare un eufemismo) per affrontare la pericolosa Amelia. Se in M3gan la questione relativa alle IA era solamente un pretesto, qui vi è al contrario una volontà più concreta di affrontare l’argomento. Il problema è il tono, nonché la tipica impostazione da apocalissi digitale da sventare che abbraccia titoli di questo genere. È chiaro che per poter fare presa sul pubblico attraverso una predisposizione al meme e alla possibile viralità del proprio content – perché alla fine è di questo che si sta parlando – le “complessità” devono venire meno, però M3gan 2.0 non ci prova davvero mai, preferendo adagiarsi sulla presunta efficacia delle sequenze più ludiche del film. Massima colpevole, in tal senso, è probabilmente la sequenza delle bambole danzanti, che non sfigurerebbe come esempio di brainrot, insieme allo scontro di arti marziali tra Gemma e Amelia.
Nel primo M3gan, almeno, vi era un tentativo (debole, ma presente) di costruire un discorso sulla genitorialità, prendendo le mosse dalla perdita dei genitori di Cady per esplorare gli attriti e i ruoli contrastanti di Gemma e M3gan nel suo percorso di crescita. In M3gan 2.0, tutto viene ricondotto a una dimensione puerile, preferendo una tiktokizzazione forzata dell’immagine cinematografica rispetto a ogni altra cosa. E non ci sarebbe comunque nulla di male nel lavorare attraverso una tale cornice, se non fosse per la grande insistenza narrativa del film sui suoi temi portanti, dalla ribellione delle macchine ai complotti governativi. L’inseguire un’effimera viralità, quindi, senza avere nemmeno il coraggio di farlo fino in fondo.
Daniele Sacchi