La sala professori di İlker Çatak, la recensione

La sala professori

A distanza di un anno dalla sua presentazione nella sezione Panorama della 73a Berlinale arriva sugli schermi italiani La sala professori (The Teachers’ Lounge), film del regista turco-tedesco İlker Çatak, in corsa per il titolo di “Miglior film internazionale” agli Oscar insieme al nostrano Io Capitano di Matteo Garrone. Un’uscita con un tempismo incredibile (da complimentarsi con Lucky Red) vista la recente pubblicazione delle date per sostenere la prova scritta del concorso docenti. Insomma, il film giusto da andare a vedere con la persona che sapete essere immersa nel manuale sulle competenze didattiche e psico-pedagogiche. Oppure no, visto che tutto il film, ambientato esclusivamente tra le mura di una scuola superiore tedesca, pone la sua attenzione sulle difficili dinamiche di potere che regolano i rapporti non solo tra docenti e studenti, ma anche tra gli insegnanti stessi.

La sala professori si rifà a tutta una serie di film che hanno voluto portare sul grande schermo il mondo della scuola raccontando ad esempio la vita privata e professionale di un singolo professore, Il distacco (Detachment, 2011), le difficoltà di integrazione degli studenti, La classe (Entre les murs, 2008), le gioie e le complessità della professione dell’insegnante, Un Métier Sérieux (2023), oppure mettendo in luce il potenziale educativo dell’istituzione scolastica, ma anche e soprattutto i suoi rischi, L’onda (Die Welle, 2008). Il film di İlker Çatak è un altro tassello di quello che, per l’ambientazione scelta, è ormai una sorta di genere, anche se con una significativa variazione sul tema. Tutti film di genere che si rispettino, infatti, sanno che devono lavorare in equilibrio tra la riproposizione di schemi già visti (in questo caso la figura del professore idealista, le difficoltà adolescenziali, etc.) e l’innovazione. Il regista e lo sceneggiatore Johannes Duncker, riappropriandosi anche di alcune loro vicende autobiografiche condivise (frequentano insieme le scuole a Istanbul), optano per ibridare il genere con una componente di thriller a tratti fortemente psicologico.

Fulcro di tutta la pellicola è Carla Nowak (Leonie Benesch) una giovane docente dai solidi principi e dall’indissolubile fiducia nei metodi pedagogici, che a causa di alcuni ricorrenti episodi di furto, decide di improvvisarsi investigatrice per scongiurare i sospetti che stanno ricadendo sempre di più su certi studenti. Questo clima è reso magistralmente grazie ad alcune scelte registiche come il formato 4:3, che racconta visivamente l’angustia dell’ambiente scolastico, e una fotografia che lavora principalmente con due tonalità di colore: il blu della scuola e una variazione di toni marroni.

Carla Nowak è il personaggio principale ed è messo in scena con una prossimità che si traduce in inquadrature a mezzo busto, primi piani, alcuni zoom delicati, ma soprattutto un pedinamento costante nei suoi spostamenti tra le varie aule dell’edificio scolastico. Su tutto questo meccanismo di rappresentazione, fin dall’inizio del film, incombe con una forte cifra drammatica la musica scritta da Marvin Miller. Elegante e al contempo minimale, mantiene la tensione alta anche durante le inquadrature di contestualizzazione (establishing shots) che spezzano le scene.

Infine, un punto di forza de La sala professori è sicuramente la sua sceneggiatura (scritta a quattro mani da Çatak e Duncker). Per quanto gli spettatori siano messi di fronte a un sistema educativo con delle evidenti differenze rispetto a quello italiano, soprattutto nelle metodologie utilizzate in classe, il realismo sia delle vicende, sia dei conflitti e la profondità psicologica che guida le azioni e le reazioni dei personaggi non è mai messa in dubbio durante la visone. Anzi, Çatak, privando il film di qualsiasi fuoriuscita dal contesto scolastico, riesce addirittura a instaurare un parallelo tra il mondo della scuola e il mondo reale. Costruisce un microcosmo, un “riflesso della nostra società” (ein Abbild unserer Gesellschaft), nel quale si assiste alla disperata ricerca di un piccola verità sulla base di una regola fondamentale: VERITAS OMNIA VINCULA VINCIT.

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Matteo Bertassi