Il ragazzo e l’airone, la recensione del film di Hayao Miyazaki

Il ragazzo e l'airone

Per iniziare l’anno all’insegna del buon cinema, il 1 gennaio 2024 è uscito nelle sale italiane Il ragazzo e l’airone, l’ultimo lungometraggio del maestro dell’animazione giapponese Hayao Miyazaki, distribuito da Lucky Red. Il film, a undici anni di distanza dal precedente Si alza il vento fin dalle sue prime giornate di programmazione ha riscosso uno straordinario successo al botteghino. 

Siamo nella Tokyo del 1943, nel pieno della seconda guerra mondiale. Una notte l’ospedale in cui lavora la mamma di Mahito viene improvvisamente bombardato e nonostante i soccorsi non ci sarà nulla da fare. Il lutto per la perdita della madre segna profondamente il dodicenne Mahito, mentre il padre decide di risposarsi con la sorella della moglie per poi trasferirsi tutti insieme fuori città in una casa immersa tra i boschi. Qui il ragazzo incontra un airone che lo segue ossessivamente e che scoprirà presto essere una creatura antropomorfa tra l’amichevole e l’inquietante. Con la proposta di un nuovo contatto con la madre, l’airone lo trascinerà in un mondo parallelo dove Miyazaki metterà in scena suggestioni oniriche e paure primordiali, in un continuo gioco dicotomico-esistenziale tra la vita e la morte.

Anche in quest’ultimo progetto – la cui lavorazione è durata circa sette anni –  ritroviamo tutte le passioni (e ossessioni) di Miyazaki, qui amplificate, incupite, intrecciate, offuscate. Ci sono le metamorfosi, il viaggio del giovane alla ricerca di se stesso, il tema dell’ambientalismo e del volo. È (anche) un film sul doppio, Il ragazzo e l’airone, a partire dalla madre di Mahito che è identica alla zia, e in cui lo stesso airone è una creatura duplice, non soltanto fisicamente, ma anche per il suo senso morale.

Il titolo originale tradotto dal giapponese sarebbe «How do you live?» e rende perfettamente il senso del film, ovvero la presa di coscienza che la nostra esistenza si basa su tutto ciò che ci hanno lasciato le generazioni precedenti ed è nostra responsabilità ciò che lasceremo a quelle future. Il ragazzo e l’airone è anche il testamento per immagini di Miyazaki, non c’è rassegnazione bensì l’accettazione della realtà in cui viviamo e di conseguenza della finitezza della vita. Il film è permeato di rimandi autobiografici alla sua infanzia vissuta durante la seconda guerra mondiale e utilizza due delle sue più care amicizie come ispirazione per i due personaggi chiave del film: Miyazaki è Mahito, il personaggio centrale del film, mentre Isao Takahata (regista, tra gli altri, del capolavoro Una tomba per le lucciole) è lo zio che incontra nella dimensione ultraterrena e Toshio Suzuki (co-founder e produttore dello Studio Ghibli) è l’airone.

A ottantadue anni Miyazaki ci regala un film malinconico, a tratti fin troppo frammentato, difficile da comprendere, ma più facile da sentire nel profondo attraverso un linguaggio fatto di poesia e rimandi archetipici. Il ragazzo e l’airone è infatti un film concettualmente ricchissimo, iper stratificato e onirico, dove si passa con estrema leggerezza dalla dimensione terrena a universi cosmici. Miyazaki sembra volersi confrontare con tutta la sua produzione artistica, sospeso tra frammenti di autobiografia e psicanalisi. Si esce dalla sala con un forte senso di smarrimento – sicuramente voluto e dato dalla narrazione criptica e respingente. Il tutto assecondato da un continuo aprirsi e chiudersi di livelli dimensionali e associazione di idee in costante movimento. La guerra, il volo, il lutto, la crescita, la trasformazione sono tutti elementi di una più ampia riflessione morale esplicitata per immagini sul grande schermo. Ne Il ragazzo e l’airone Miyazaki ancora una volta sfrutta i suoi universi immaginifici per aprire nuovi squarci interiori e per chiederci di fermarci a riflettere. E voi come vivrete? 

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Martina Dell’Utri