The Bear, la recensione della serie tv

The Bear

The Bear – disponibile in streaming su Disney+ – è una delle serie più sorprendenti e apprezzate di questo 2022. Sulla scia dei racconti di Anthony Bourdain nel suo libro Kitchen Confidential, la serie vuole raccontare cosa significhi – per davvero – lavorare in cucina. Nulla a che vedere, quindi, con la narrazione televisiva contemporanea che serve su piatti d’argento show culinari patinati e imbellettati.

Come Bourdain, anche il protagonista Carmen “Carmy” Berzatto – interpretato dall’ottimo Jeremy Allen White – ha una doppia anima: serio e rigoroso in cucina, fragilissimo e tormentato dai propri demoni nella vita privata. Carmy è un giovane chef all’apice del successo che lascia la sua carriera a New York per tornare nella sua città natale, Chicago, per tentare di salvare il locale di famiglia lasciatogli in eredità dal fratello dopo il suo improvviso suicidio. Lontano dall’alta cucina dei ristoranti stellati in cui ha lavorato (dall’Eleven Madison Park al The French Laundry, passando per il Noma), Carmy si ritrova ora alle prese con lo sgangherato sandwich-shop “The Original Beef of Chicagoland” e una brigata piuttosto riluttante nei suoi confronti. Il tutto facendo i conti con il trauma non ancora elaborato della perdita del fratello.

La lista delle cose che non vanno è infinita, dai coltelli che non tagliano a problemi ben più grossi come i debiti enormi del locale. Nonostante le ragioni per cui Carmy tenti di salvare il locale dal collasso finanziario con tutto se stesso emergano gradualmente, la narrazione procede a ritmo serrato e affannoso per tutti gli otto episodi. Ne risulta una visione tanto accattivante quanto angosciante, in una corsa continua contro il tempo. Il montaggio, frenetico e frammentato, crea tensione e trasmette perfettamente lo stato d’animo dei personaggi nella cucina del The Beef.

In un ambiente in cui bisogna essere sempre pronti ed efficienti, ansia e stress sono all’ordine del giorno. Carmy paga a caro prezzo le conseguenze di anni e anni di violenze psicologiche subite sul posto di lavoro, che si tramutano in ricorrenti incubi notturni. Vediamo ad esempio in un flashback il suo Executive Chef a NY umiliarlo e insultarlo davanti alla brigata. Ne deriva quindi una ben più ampia denuncia da parte di Christopher Storer – creatore della serie e co-sceneggiatore con la regista Joanna Calo – del mondo elitario della haute cuisine. Le cucine stellate sono rappresentate come ambienti dalle dinamiche tossiche e competitive, dove tutto deve essere perfetto, immacolato, al livello più alto possibile. Inevitabilmente questo porta le persone che vi lavorano – compreso Carmy – a continui esaurimenti nervosi.

È proprio la salute mentale l’altro grande tema di The Bear, che si affianca a quello della cucina. A partire dal modo (fin troppo comune) in cui la sua famiglia vive il lutto, ovvero evitando del tutto l’argomento: per otto puntate viviamo i traumi dei personaggi, le loro preoccupazioni, la tensione, la pressione psicologica di tenere aperto il locale nonostante tutto. Lo vediamo anche nello sguardo di Carmy, visibilmente sconvolto dalla morte del fratello, per cui rimettere in sesto il ristorante significa anche rimettere insieme i pezzi e trovare finalmente un senso in tutto questo caos. “The bear”, l’orso che dà il nome alla serie è forse anche questo, un incubo ad occhi aperti, un trauma che ci portiamo dentro che – se messo in gabbia e non elaborato – ci assale con sempre più ferocia.

The Bear è come il suo cibo, una storia genuina, fatta di memoria e famiglia (elementi imprescindibili quando si parla di cibo) che arriva dritta al punto e ci colpisce proprio per cosa dice e per come lo dice. Fa della realtà il suo punto di forza, traducendo e veicolando i propri messaggi a livello stilistico in ogni suo elemento, dal montaggio, alla musica, alla fotografia. Commedia e dramma si mescolano, come il mondo degli chef e quello di una cucina qualsiasi di Chicago. Aspettando la seconda stagione, il finale della serie si conclude con un grande pranzo di famiglia a base di spaghetti al pomodoro. Perché per quanto tutto possa essere difficile, il cibo rimarrà sempre quel tramite che permette alle persone di riunirsi e condividere insieme momenti di gioia e spensieratezza.

Martina Dell’Utri