Il giorno di Natale 2020, anno particolarmente duro per la settima arte, è uscito in streaming Soul, ultimo lavoro degli studi di animazione Pixar, diretto da Pete Docter e Kemp Powers e distribuito sulla piattaforma Disney+. Un titolo dalla forte carica emotiva, quindi perfettamente in linea con tutti gli altri prodotti del colosso dell’animazione, ma che a differenza dei suoi predecessori porta con sé un messaggio nuovo, cercando di raggiungere un pubblico leggermente diverso rispetto al solito.
La particolarità principale di Soul coinvolge tanto le scelte tematiche quanto quelle dei personaggi, di fatto le une il riflesso delle altre. Se solitamente i lungometraggi della Pixar vengono identificati come film per bambini, che piacciono anche ai grandi, nel caso di Soul sembrerebbe più corretto affermare il contrario, peculiarità resa presto evidente dalla scelta di un protagonista come Joe (Jamie Foxx), un musicista di mezza età, insoddisfatto e solitario, che sogna di diventare un grande jazzista ma si sente bloccato da un lavoro part-time come insegnante di musica. Si tratta di una situazione iniziale che non offre molti agganci a un bambino, ma che potrebbe presentarsi con una certa familiarità ad un pubblico più adulto. A questo si aggiunge tutto un discorso sull’anima, sulla “scintilla” che contraddistingue ogni persona – l’attitudine che prepara le anime alla vita – in quel regno senza tempo in cui è ambientato buona parte del film: “the great before”. Affrontare tematiche mature non è certo una novità per la Pixar: Soul scaturisce infatti dalle stesse menti che hanno creato Coco (2017, Lee Unkrich e Adrian Molina) e Inside Out (2015, Pete Docter e Ronnie del Carmen), ma stavolta il tutto è affrontato in maniera diversa, a partire dalla prospettiva. Nello specifico Inside Out parla di crescita emotiva, Coco parla di perdita e di memoria, Soul, contrariamente a quanto possa far pensare il titolo, parla di vita. Parla, soprattutto, a quella generazione di giovani ma non giovanissimi gravata dalla difficoltà nel realizzarsi e nell’esprimersi, alla continua ricerca di uno scopo; ed è proprio su questo punto che il film manda il suo messaggio più importante, forte e chiaro come le sue splendide immagini animate.
Un aspetto molto importante è sicuramente il modo in cui il film tocca determinate tematiche, raggiungendo quella universalità che solo il mezzo animato può raggiungere e che la Pixar ha perfezionato negli anni. Riuscire a parlare di anima, di senso della vita, di “grande prima” e “grande dopo”, senza sfociare in vuoti messaggi di positività, senza sfiorare alcuna dottrina o scomodare alcuna religione, non è cosa da poco per un film che, comunque, dialoga con lo spettatore con la leggerezza di un prodotto per bambini. Rimane certo una simbologia essenziale, riconoscibile un po’ da tutti, come la scala che sale verso il “great beyond”, ma per il resto tutto nell’aldilà è etereo, pulito, scarno, gestito da esseri bidimensionali e filiformi, il che offre anche uno stupendo contrasto al mondo terrestre coloratissimo, sporco e imperfetto. Bisogna anche notare che la scelta di proporre un protagonista afroamericano, così come anche la scelta parallela di ambientare molte scene terrestri in un quartiere a maggioranza afroamericana, inseriscono la Disney in quel dialogo sul razzismo che ha interessato in particolar modo gli USA, negli ultimi mesi più che mai. Anche qui, non ci sono messaggi o dichiarazioni esplicite, solo una voglia di normalizzare, di celebrare la vita in tutta la sua diversità. A tal proposito, una nota di spirito è offerta dal gruppo di personaggi in grado di mettersi in contatto con l’altro universo, pur essendo vivi, da tutte le parti del mondo, ognuno a modo suo, chi con la meditazione chi in altro modo. Non manca, infatti, un riferimento velatissimo, ma presente, all’utilizzo di droghe a riprova della natura “adulta” del film. In questa ottica, le scelte così particolari che vengono espresse in questo prodotto possono essere ricondotte al bisogno di differenziare anche l’offerta d’animazione per il crescente pubblico della piattaforma Disney+.
Soul, quindi, va subito a posizionarsi nella ricchissima libreria dei classici della casa cinematografica che da sempre focalizza tutto il suo impegno, tanto artistico quanto economico, nel settore dell’intrattenimento. C’è un unico difetto che accompagna la visione del film, una grande assenza che non lo riguarda direttamente, ma che si avverte in maniera inesorabile: la mancanza di poterlo fruire nello spazio della sala.
Alberto Militello