“J’ai tué ma mère” di Xavier Dolan – Recensione

J'ai tué ma mère

J’ai tué ma mère (“Ho ucciso mia madre” in italiano) è l’interessante opera d’esordio di Xavier Dolan, un film parzialmente autobiografico che l’enfant prodige del cinema canadese ha scritto, diretto ed interpretato all’età di soli 20 anni, dopo aver cercato finanziamenti per ben quattro anni. Un lavoro “totale” per il regista, dunque, presentato nel 2009 nella Quinzaine des Réalisateurs, selezione parallela del Festival di Cannes, che ha raccolto immediatamente i consensi di pubblico e critica, aprendo la strada a Xavier Dolan per continuare negli anni successivi a rendere materia visibile la propria poetica autoriale.

Sin da questo esordio, il regista canadese porta su schermo le sue ossessioni e passioni, ponendo immediatamente le basi per un percorso cinematografico ben preciso che con il tempo assumerà delle tinte evidenti e riconoscibili. J’ai tué ma mère tratta a tal proposito della relazione burrascosa tra un figlio, l’adolescente Hubert (interpretato dallo stesso Dolan), e la madre Chantale (Anne Dorval), un vero e proprio racconto di formazione che prende le mosse da questo rapporto teso, conflittuale e costantemente in bilico per indagare temi intimi e personali che, però, sono in grado di risuonare anche da un punto di vista più universale.

Al centro del lungometraggio d’esordio di Xavier Dolan troviamo, infatti, elementi diegetici che possono essere reinterpretati anche al di fuori dell’esperienza autobiografica del suo autore, come la necessità di esprimere se stessi, la sessualità, il proprio mondo interiore ed esteriore. Una particolarità non da poco, se consideriamo quanto in realtà sia imponente nell’esame complessivo della pellicola il peso estremamente confessorio delle parole di Hubert, caratteristica esemplificata specialmente in alcune sequenze in bianco e nero in cui il ragazzo racconta direttamente se stesso, mettendo a nudo i propri pensieri in un dirompente flusso di coscienza.

J'ai tué ma mère

Eppure, nel carattere intimo di J’ai tué ma mère, si respira anche la sensazione che la storia di Hubert rappresenti, al di là delle tensioni di amore/odio che lo legano alla madre e che allo stesso tempo allontanano i due, un sentimento condiviso e più generale che contempla nell’alterità non solo la dimensione del conflitto, ma anche la possibilità della vicinanza. Xavier Dolan pone fortemente l’accento sullo scontro intersoggettivo come ente separatore, ma sono numerose le istanze in cui Hubert si trova nella condizione di dover porre un freno al proprio tormento esistenziale, ritornando inevitabilmente tra le braccia della madre.

J’ai tué ma mère è un’opera prima matura, dedicata ad esplorare un disagio adolescenziale che, in un’accezione più generale, si manifesta come l’espressione di una sofferenza genuina. Il cinema di Dolan funge sicuramente da operazione auto-terapeutica e catartica per l’autore canadese, ma allo stesso tempo non fallisce nell’ergersi a qualcosa di più di questo, come si può individuare sia nei sottotesti narrativi già esaminati ma anche nella celebrazione del medium cinematografico – pensiamo ad esempio alle diverse citazioni nei confronti della Nouvelle Vague – e in alcuni brevi excursus nei territori estetici del videoclip. Un buon esordio, insomma, prima di affermarsi definitivamente con film come – tra gli altri – Les amours imaginaires (2010) o Mommy (2014), o ancora il recente e ottimo Matthias & Maxime (2020).

Daniele Sacchi