Aliens di James Cameron, una retrospettiva

Aliens

È il 1986 e a James Cameron viene affidato l’arduo compito di realizzare un sequel di Alien, il capolavoro horror di Ridley Scott. Invece di cercare di replicare il mood claustrofobico, paranoide e ossessivo del primo capitolo, il regista canadese prosegue il suo discorso autoriale avviato con Terminator e con lo script di Rambo 2, preferendo una prospettiva dal sapore marcatamente action. Si tratta di un vero e proprio scontro formale quello tra l’Alien di Scott e l’Aliens di Cameron: la minaccia aliena persiste, ma il veicolo attraverso il quale si manifesta è estremamente diverso, teso nei confronti di una messa in scena che abbraccia un nuovo paradigma estetico, lontano dalle frontiere dell’incubo e più vicino a sottotesti eroici e di rilettura del trauma.

Aliens segue ancora una volta le vicende del personaggio di Ellen Ripley (Sigourney Weaver), riallacciandosi direttamente al finale del primo film. “Direttamente” per modo di dire, perché in realtà sono trascorsi 57 anni da Alien, un periodo che Ripley ha trascorso in una capsula per il sonno criogenico prima di essere finalmente soccorsa da una squadra di recupero.

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Nonostante la miracolosa sopravvivenza all’attacco alieno subito dalla sua nave, la Nostromo, Ripley viene ritenuta responsabile della sua distruzione e la sua licenza viene sospesa, ma un’ulteriore aggressione – questa volta ai danni di una colonia umana – la porterà ad unirsi ad una squadra di marine per aiutarli contro la minaccia aliena.

James Cameron abbraccia a piene mani l’estetica biomeccanica e onirico-tentacolare puramente gigeriana già proposta nel primo film – sebbene l’artista svizzero non abbia potuto partecipare alla produzione del sequel – istituendo immediatamente una sensazione di continuità con Alien, tra visioni ricorrenti di facehugger e xenomorfi tangibili sia nella loro concreta apparenza sia nelle loro incursioni nel dominio del sogno e del trauma. Pensiamo a tal proposito alle raccapriccianti visioni di Ripley, visibilmente in difficoltà nel lasciarsi alle spalle i tormenti causati dall’assalto subito in Alien e dalla conseguente morte dei suoi compagni. Lo dimostra anche l’iniziale diffidenza verso il personaggio di Bishop (Lance Henriksen), un androide che rievoca in Ripley lo spettro ostile di Ash (Ian Holm).

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A mutare in Aliens è invece l’assetto concettuale di fondo, non più indissolubilmente vincolato al perturbante freudiano. Al centro del film, infatti, troviamo un focus maggiormente orientato ad analizzare le azioni umane in sé e il loro significato calato nella realtà. Lo slittamento prospettico rispetto al film di Scott si può evincere anche dai materiali promozionali del film, specialmente nel passaggio dal mantra «nello spazio nessuno può sentirti urlare» ad una matrice maggiormente legata al dominio dello scontro e, nello specifico, della guerra. In Aliens, infatti, a partire dall’esame del trauma di Ripley sino ad arrivare alla cospicua enfasi narrativa sulla squadra di marine, insieme all’effettiva messa in scena della lotta con gli alieni (un confronto che, prima di ogni altra cosa, è soprattutto armato), si può individuare una chiara tendenza da parte di Cameron ad una razionalizzazione fondante che si allontana profondamente dalla psicologia e dalla mitologia tecno-sessuale di Alien.

A conferma di tutto ciò vi è anche l’enfasi sulla necessità percepita da parte di Ripley di riassestarsi non solo come essere umano ma anche – e soprattutto – in quanto donna, di ritrovare la possibilità di ritagliarsi un proprio spazio nel reale ricercando nella figura della giovane Rebecca (Carrie Henn) una possibile espressione di maternità, in netta e ossimorica vicinanza/opposizione con la sua nemesi naturale, la regina xenomorfa. Come secondo capitolo di una saga immortale, Aliens è dunque sia rilettura sia nuova ricerca espressiva, una caratteristica che si ripresenterà – tra alti e bassi – anche nei film successivi, per poi ritornare attraverso un movimento inverso, con Prometheus e Alien: Covenant di Ridley Scott, al suo nucleo originario.

Daniele Sacchi