Close di Lukas Dhont, la recensione

Close

Dopo l’esordio nel 2018 con Girl, il regista belga Lukas Dhont torna sui grandi schermi con il suo secondo lungometraggio Close, premiato a Cannes con il Grand Prix Speciale della Giuria e nominato come miglior film straniero ai Premi Oscar 2023.

Léo (Eden Dambrine) e Rémi (Gustave De Waele) sono amici per la pelle e vivono praticamente in simbiosi. Giocano, mangiano e spesso dormono insieme. Questa bolla di amicizia così intima e pura si infrange quando iniziano le scuole medie. I due migliori amici sono anche compagni di banco e i loro compagni di classe non tardano a giudicare e a insinuare che oltre all’amicizia, tra di loro, ci sia di più. Lo sguardo altrui si intromette nel loro rapporto al punto da farlo svanire. Le ripercussioni di tutto ciò saranno evidenti, ma anche molto tragiche per entrambi.

Il film si apre d’estate, il sole è caldo e i due ragazzi corrono spensierati attraverso immense distese di campi fioriti coltivati dai genitori di Léo. I fiori, fragili e puri, diventano qui metafora della loro amicizia: con l’arrivo della violenza nelle loro vite, quel paradiso che si erano costruiti crolla sotto i loro piedi e lentamente Léo e Rémi perdono il legame che li univa. Gli stati d’animo dei protagonisti sono resi anche attraverso l’utilizzo dei colori, con il bianco e il rosso che spiccano. La fotografia di Frank van den Eeden ne segue gli umori: colori caldi, vivaci e avvolgenti lasciano il posto a colori pallidi, freddi e a un campo fangoso che dei fiori conserva solo il ricordo.

Close mostra come nella nostra società l’intimità e la tenerezza – nel genere maschile – non siano più accettate una volta finita l’infanzia. Il regista prende una chiara posizione e denuncia l’ideale di mascolinità con il quale siamo cresciuti, spesso brutale e violento. Léo, dopo le insinuazioni dei suoi compagni, inizia a fare hockey su ghiaccio nel tentativo di mostrarsi più “maschio” e più “virile”, per mettere a tacere eventuali dubbi dei compagni. Dhont vuole quindi farci riflettere sui meccanismi che si innescano nel passaggio dall’età dell’infanzia a quello dell’adolescenza, dove chi è diverso non viene più accettato dal gruppo, bensì emarginato o bullizzato.

Close è un’ode alla vulnerabilità, ai cambiamenti interiori, alle corse a perdifiato e alle immagini nella loro forma più pura. Il cinema di Dhont è sincero, come i suoi protagonisti, e ci ricorda di quanto sia essenziale non farsi influenzare dallo sguardo e dalle aspettative altrui. Il regista belga, però, ha fiducia nelle nuove generazioni e le invita a perseguire attivamente la lotta per de-costruire la società patriarcale che vuole ragazzi distanti da loro stessi e dal loro sentire.

Martina Dell’Utri