“Freaks Out” di Gabriele Mainetti – Recensione (Venezia 78)

Freaks Out

Siamo nel 1943. Le note di Creep dei Radiohead riecheggiano per il circo nazista di Roma: a suonarle sul pianoforte è Franz (interpretato da Franz Rogowski), l’antagonista principale di Freaks Out, il secondo lungometraggio di Gabriele Mainetti che arriva ben sei anni dopo il grande successo di Lo chiamavano Jeeg Robot. Franz possiede l’abilità di vedere nel futuro ed è alla ricerca di un team di “superuomini” che possa aiutarlo a scongiurare l’inevitabile fine del Terzo Reich. Dall’altra parte della città, lo spettacolo del circo dell’ebreo Israel (Giorgio Tirabassi) ci introduce i protagonisti del film: il robusto e peloso Fulvio (Claudio Santamaria), il manipolatore di insetti Cencio (Pietro Castellitto), l’elettrica Matilde (Aurora Giovinazzo) e il magnetico Mario (Giancarlo Martini). La distruzione del loro circo a causa dell’intervento dei nazisti li obbligherà a cercare di fuggire dalla città.

Dagli eroi ambigui e contemporanei della periferia romana di Lo chiamavano Jeeg Robot ai freaks dai poteri sovrannaturali della capitale occupata di Freaks Out, Mainetti continua il proprio percorso di assimilazione e di conseguente rielaborazione degli stilemi tipici della rappresentazione supereroistica. Evitando il pericolo di ricadere nella delimitazione netta tra buoni e cattivi, il regista romano propone personaggi sfaccettati e complessi, non facilmente riducibili a tassonomie chiare e definite, ma ciascuno temprato da una precisa disposizione d’animo che, nonostante l’apparenza “mostruosa” del freak, ce li fa apparire distintamente come essere umani. Persino il villain Franz gode di un approfondimento caratteriale tale da permettere allo spettatore un parziale avvicinamento alla sua figura, nonostante le azioni riprovevoli e le ambizioni perverse.

Freaks Out

Sebbene il tenore della narrazione prenda piano piano una via a suo modo semplice e prevedibile, è lodevole la volontà produttiva che comunque si cela alla base dell’opera, capace di fatto di superare qualitativamente il prodotto medio offerto dal cinecomic americano. Invece di risultare banale perché semplice, Freaks Out sfrutta invece la propria genuinità per restituirci un racconto autentico, profondamente umano e divertente, nonostante i temi affrontati siano tutt’altro che ilari.

Dagli orrori della seconda guerra mondiale sino ad arrivare alla messa in scena della paura del diverso, il film di Mainetti – guidato soprattutto dalla sua eroina femminile, il personaggio di Matilde – fonde l’immaginario del Freaks di Tod Browning con l’esuberanza del Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino in un film che comunque non risulta mai derivativo, dimostrando a più riprese di possedere una sua precisa e ben direzionata visione d’insieme. Freaks Out, insieme agli altri splendidi film italiani in concorso quest’anno alla Mostra del Cinema di Venezia, è dunque il segno di una cinematografia nazionale ancora viva e vegeta, particolarmente ambiziosa e dal respiro internazionale. Un successo, insomma, che sembra segnare l’inizio di un nuovo periodo d’oro per il nostro cinema.

Le recensioni di Venezia 78

Daniele Sacchi