La società della neve di Juan Antonio Bayona, la recensione

La società della neve

Nel 1972, un aereo di linea uruguaiano si schianta durante la traversata delle Ande, al confine con il Cile. La società delle neve di Juan Antonio Bayona è la storia dei ragazzi che sono sopravvissuti a quell’incidente. Candidato all’Oscar come miglior film straniero e distribuito da Netflix, il film pur essendo di forte impatto per via della storia raccontata, rasenta a più riprese toni quasi documentaristici, rischiando di suscitare una sensazione percepibile di distacco tra lo spettatore e i protagonisti. Non è un titolo eccellente, La società delle neve, ma in ogni caso riesce ad imporsi come una storia dal grande valore, nonché un forte richiamo all’umanità e alla riflessione.

Tanti sono i comprimari che popolano il film, ma il punto di vista principale è quello di un gruppo di ragazzi di una squadra di rugby giovanile, in particolare quello dello studente di legge Numa Turcatti (Enzo Vogrincic), narratore della vicenda, la cui voce fuori campo accompagna i momenti dedicati agli altri due grandi protagonisti del racconto: le montagne e la neve. Da un lato, le catene montuose per più di 70 giorni diventano l’intero universo per i passeggeri sopravvissuti all’incidente, una prigione arida e senza vita che porta i protagonisti a misurarsi con scelte estreme, in bilico tra la vita e la morte. Dall’altro lato, invece, la neve, unico “abitante” della montagna, è allo stesso tempo mezzo di sopravvivenza (per l’acqua) e causa di morte.

L’isolamento e l’inedia sono i mostri che torturano i giovani sopravvissuti, che nella solitudine sviluppano un legame di solidarietà e di unione che gli permetterà di rimanere attaccati alla vita. E in questo ambiente estremo si misurano con loro stessi, con il senso della vita, con il divino, per accogliere meglio la morte e allo stesso tempo per trovare la forza di non mollare. Diventano in questo sforzo di comunità (da cui l’importanza data nel titolo al termine “società”) l’uno il dio dell’altro.

Passando ai tratti meno riusciti della pellicola, è sempre difficile gestire un organico di protagonisti così numeroso, soprattutto quando si tenta di raccontare una storia impregnata di introspezione e in cui non spiccano dei caratteri in particolare, ma piuttosto lo sforzo collettivo, la spinta alla sopravvivenza. Questa comprensibile piattezza, però, genera un certo distacco, rende difficile entrare nella storia, per quanto raccontata minuziosamente. Quindi, un taglio decisamente documentaristico, ma non d’autore.

Nella corsa all’Oscar per il miglior film straniero ci sono candidati decisamente più validi, ma questo film si presenta lo stesso come “nemico” temibile in quanto incarna una tendenza ormai consolidata del pubblico (soprattutto netflixiano) affezionatissimo alla storia vera, all’impronta documentaristica, ma non al documentario in senso stretto. In definitiva, La società della neve è un film nel complesso debole, ma che offre comunque i suoi spunti e regala, soprattutto nella fase finale, dei momenti intensi, capaci di stimolare un proficuo dialogo interiore.

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Alberto Militello