“Memory Box” di Joana Hadjithomas e Khalil Joreige – Recensione

Memory Box

Una delle sezioni più interessanti dell’ultimo Torino Film Festival è senza dubbio quella dedicata a Joana Hadjithomas e Khalil Joreige, due artisti libanesi originari di Beirut i quali hanno vissuto gli anni della terribile guerra civile che ha scosso il Paese. Artisti e non semplicemente cineasti, in quanto nel corso della loro carriera, dal 1990 ad oggi, hanno spaziato dal cinema alle installazioni, esposizioni, foto, testi cartacei e molto altro. Filo conduttore del loro percorso artistico è l’utilizzo della memoria come strumento per salvaguardare ciò che la storia cancella, strappandolo così all’immanenza del tempo. In questa visione si inserisce anche il loro ultimo lavoro, Memory Box, presentato in concorso alla Berlinale 71 e in anteprima italiana al Torino Film Festival.

Maia è una madre single che si è trasferita a Montréal insieme alla madre Téta dopo aver abbandonato Beirut e tutte le sue conoscenze in seguito alla morte del padre. Qui si è rifatta una vita, ora ha una figlia adolescente, Alex, un lavoro stabile e un amante. La vita delle tre donne viene stravolta, però, dall’arrivo di un pacco proveniente dal passato. Il pacco contiene i diari e le audiocassette che la giovane Maia aveva registrato da adolescente nella Beirut sconvolta dai bombardamenti, un contenitore di segreti mai rivelati che potrebbero minare la stabilità familiare faticosamente conquistata.

Memory Box è un racconto che prende avvio dalla libera interpretazione della corrispondenza che la regista, Joana Hadjithomas, ha intrattenuto in gioventù con un’amica trasferitasi a Parigi e che ricostruisce gli anni bui della guerra civile attraverso gli occhi di un’adolescente: una ragazza innamorata, che come tutti i suoi coetanei non vuole far altro che divertirsi, ballando spensierata sulle note della musica dance anni ’80.

Memory Box

Memory Box, dunque, è un film sulla salvaguardia della memoria, ma anche su come la memoria storica possa essere modificata dal tempo. Se le fotografie e le registrazioni permettono infatti di tramandare alla figlia la storia della famiglia, è pur vero che il racconto di Téta e Maia si basa su una grande bugia, una bugia che non è mai stata svelata e, sebbene sia stata detta “a fin di bene”, questa rimane una menzogna. Allora il film non può che far riflettere su come la memoria dell’uomo sia fragile, su come sia impossibile fissare con certezza dei momenti se non attraverso il supporto della tecnica e di come, di conseguenza, sia fallace la nostra storia, che è, giocoforza, una narrazione filtrata dei fatti. Una storia ripetuta con convinzione abbastanza a lungo può diventare una verità.

Nonostante la serietà del tema trattato, il film riesce a mantenere una particolare leggerezza nell’affrontare certe situazioni, questo soprattutto in virtù di particolari momenti evocativi e nostalgici, sequenze artistiche che, scorrendo su canzoni tipiche degli anni ’80, si inseriscono come videoclip musicali nella narrazione, senza interromperla. Memory Box arriverà nelle sale italiane nel 2022 grazie a Movies Inspired, e sarà l’occasione per recuperare un ottimo film che riesce a parlare su più livelli: una ricostruzione della storia di Beirut, una riflessione sulla memoria storica e sullo statuto delle immagini, ma anche sulle persone che abbiamo intorno, su quanto realmente si possa affermare di conoscerle bene e sui segreti che non possono essere rivelati.

Gianluca Tana