Ryuichi Sakamoto | Opus, la recensione del film

Ryuichi Sakamoto | Opus

Si apre venerdì 17 maggio a Piano City Milano il tour che porterà il film concerto Ryuichi Sakamoto | Opus in diversi teatri italiani (la programmazione è consultabile a questo indirizzo) dopo essere già stato presentato nel corso dell’80esima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia. Diretto dal figlio Neo Sora, il film rappresenta l’ultima performance dal vivo di Ryuichi Sakamoto, straordinario musicista e compositore giapponese tristemente scomparso il 28 marzo 2023.

Girato in uno studio televisivo di proprietà dell’emittente pubblica NHK nel corso di diverse sessioni di registrazione, Ryuichi Sakamoto | Opus è caratterizzato da una messa in scena minimalista, priva di barocchismi e realizzata interamente in bianco e nero, in grado di concentrare tutto il suo focus sull’artista, sul suo pianoforte e sulla sua musica. Neo Sora costruisce uno spazio-Altro, etereo e sospeso, dove ad emergere sono – per citare le parole dello stesso regista – «le rispettive corporeità» di Sakamoto e del suo strumento, non solo nella traduzione in musica di questo rapporto ma anche attraverso una specifica enfasi posta su una certa ruvidità dell’immagine e del sonoro. Così, nel corso del film viene catturato anche il “rumore bianco” dei respiri del musicista e della pressione dei tasti del pianoforte, insieme ad alcune incertezze performative derivanti dallo stato di salute di Sakamoto, pienamente consapevole di star realizzando quella che costituirà la sua opera testamentaria.

Attraverso venti brani (circa 100 minuti di musica), lo spettatore viene trasportato in un viaggio musicale che ripercorre tutta la carriera di Ryuichi Sakamoto. Tutte le composizioni, come anticipato, sono proposte in una versione riarrangiata solo per pianoforte, in modo tale da rendere centrale la dimensione contemplativa che rappresenta, di fatto, il mantra trainante l’intera operazione.

L’apertura del film è contrassegnata da Lack of Love, brano tratto dalla colonna sonora dell’omonimo videogioco per Dreamcast che, curiosamente, venne realizzato grazie anche alle idee dello stesso Sakamoto. Si passa poi dalle struggenti Solitude (dal film Tony Takitani) e Bibo no Aozora (dall’album Smoochy) alle composizioni più sperimentali del suo ultimo album 12. C’è spazio anche per un tuffo nel passato con Tong Poo degli Yellow Magic Orchestra (gruppo elettropop di cui Sakamoto fu fondatore), così come per un brano tributo per Jóhann Jóhannsson, compositore minimalista islandese scomparso nel 2018 conosciuto soprattutto per le sue frequenti collaborazioni con Denis Villeneuve. Nella fase finale del film, non possono poi mancare classici come The Sheltering Sky (da Il tè nel deserto di Bernardo Bertolucci), così come i temi iconici tratti dalle colonne sonore de L’ultimo imperatore e di Merry Christmas Mr. Lawrence.

Elegante e delicato, ma anche potente nella sua malinconica riflessione sull’opera umana e sulla mortalità, nonché sul valore inestimabile della performance artistica, il film di Neo Sora trasforma suo padre da esecutore – e, a monte, da creatore – in una vera e propria metafora immortale, efficacemente testimoniata da una suggestiva e fantasmatica chiusura (accompagnata dal brano eponimo Opus) che, trascendendo ogni corporeità, ogni spazialità e ogni temporalità, proietta l’Arte di Ryuichi Sakamoto nell’Assoluto.

Daniele Sacchi