Sull’Adamant, la recensione del film

Sull'Adamant

Nicolas Philibert ha vinto l’Orso d’oro alla Berlinale 2023 con Sull’Adamant – Dove l’impossibile diventa possibile, film documentario che racconta la quotidianità dell’Adamant, centro diurno per la cura di adulti con disturbi mentali ubicato sulla Senna, a Parigi, che si presenta come una struttura in legno galleggiante un po’ simile ad un battello, un po’ oasi di tranquillità, lontana dai rumori della capitale. Qui i pazienti vengono affiancati da un’équipe di psicologi, psichiatri e infermieri nello svolgimento di attività creative e di gruppo, come la pittura, il canto, la composizione di musica, la fotografia. La peculiarità del centro sta nell’approccio terapeutico, tanto innovativo quanto olistico nella misura in cui la creatività non è solo un filtro per il dolore ma un modo per valorizzare e dare spessore alle personalità dei singoli pazienti.

Nicolas Philibert è uno dei maestri del cinema del reale conosciuto per il suo approccio documentaristico e la sua capacità di cogliere la vita quotidiana in modo profondo e autentico. In Sull’Adamant, così come in altre opere della sua filmografia come Être et avoir – Essere e avere (2002), film che segue la vita quotidiana di una scuola elementare in una piccola comunità rurale in Francia, Philibert utilizza una narrazione minimalista, concentrandosi sulle persone e sui luoghi per rivelare le complessità della vita umana.

Lo sguardo di Philibert sulle persone è delicato e profondo, senza artifici o sensazionalismi e senza la necessità di inserire voci fuori campo o sequenze di interviste lineari per sottolineare il fatto che si tratti di un documentario: la struttura narrativa è data dal susseguirsi di dialoghi confidenziali, quasi flussi di coscienza, con gli uomini e le donne del centro che diventano attori inconsapevoli, alternati nel montaggio alla documentazione delle attività giornaliere. La posizione paritaria di Philibert nei confronti dei pazienti rende confidenziale e caloroso il racconto, mettendo a proprio agio l’interlocutore facendolo sentire totalmente libero di esprimersi.

Un concetto fondamentale su cui poggia le basi l’idea stessa del centro diurno è la funzione catartica della musica e dell’arte, che, a detta dei protagonisti, salvano letteralmente la vita. È infatti inevitabile innamorarsi dei loro dipinti, astratti ma densi di significato, e delle loro canzoni, che altro non sono che un’affermazione di unicità personale e di sensibilità. L’esposizione delle loro creazioni prosegue insieme all’espressione di ogni singolare punto di vista, alternando il ricordo delle sofferenze del passato (primo fra tutti l’allontanamento dagli affetti a causa della malattia) allo sguardo verso il futuro. Un futuro in cui ci si immagina più lucidi che felici, come racconta una delle donne in cura.

Un altro tema che emerge da molti dei monologhi dei protagonisti è la riconoscenza nei confronti della medicina e dei farmaci, senza i quali dichiarano loro stessi di essere soggetti a “deliri” indefiniti. Come recita il testo del brano La bombe humaine, cantato a cappella all’inizio del film da uno dei pazienti, “Mio padre non dorme più senza i suoi calmanti / Mamma non lavora più senza i suoi eccitanti / Qualcuno gli vende qualcosa che li faccia andare avanti”, anticipando ciò che lo stesso paziente racconterà in un secondo momento riguardo la crucialità nella sua vita degli psicofarmaci.

Sull’Adamant è un occhio curioso e sincero su una realtà così delicata quanto complessa da raccontare, un film necessario che riesce a scardinare la percezione comune ed obsoleta della clinica psichiatrica come ambiente di reclusione, un po’ alla maniera di Qualcuno volò sul nido del cuculo, portando l’esempio di un luogo unico che sopravvive, cercando di mantenere la funzione poetica dell’arte e della lingua.

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Chiara D’Agostino