Nei boschi piemontesi che circondano Alba, un gruppo di uomini – insieme ai loro fedelissimi cani – si dedicano alla ricerca del tartufo bianco, un’attività i cui segreti vengono gelosamente custoditi da generazioni. Il documentario The Truffle Hunters, diretto da Michael Dweck e Gregory Kershaw per la produzione esecutiva di Luca Guadagnino e disponibile per il noleggio su Prime Video, apre una finestra sulla vita di questi instancabili cercatori di tartufi. Nel farlo, il film posa uno sguardo estremamente delicato e sincero, mai canzonatorio o macchiettistico (rischio che non sempre viene scongiurato quando la sensibilità statunitense si approccia a realtà locali europee e italiane nello specifico), riuscendo nell’intento di farci sentire parte di una quotidianità semplice e affascinante.
Carlo, Aurelio e Angelo passano le loro giornate – e soprattutto le loro nottate – in mezzo alla natura, ed è evidente che la ricerca del tartufo è per loro un’attività di contatto e unione con l’ambiente, una ricerca di quiete e silenzio scandita da pazienza e perseveranza. In The Truffle Hunters sono alternati momenti bucolici a momenti di involontaria comicità: la benedizione di Carlo e della sua cagnolina Titina pronunciata dal parroco durante una messa, un bagno o una cena condivisa con il proprio cane, un battibecco tra moglie e marito. La modalità a cui i registi ricorrono è osservativa, mai invadente, sempre rispettosa, ed è sorretta da una fotografia sapiente fatta di simmetrie e attenzione ai dettagli, che forma tanti brevi tableau vivant che regalano un’esperienza di fruizione immersiva.
La colonna sonora alterna brani strumentali a canti popolari – molto spesso intonati dagli stessi cacciatori di tartufi – e pezzi della tradizione musicale italiana. A completare la dimensione sonora del film sono i dialoghi, scanditi e cantilenati da uno strettissimo dialetto piemontese (un consiglio: attivare i sottotitoli). Il film non tralascia l’aspetto più economico del mercato del tartufo: le aste, le fiere, il margine di profitto (enorme) che i commercianti di tartufi riescono a ottenere a spese di questi anziani cercatori che, non avendo mercati di riferimento su cui stabilire il proprio prezzo, si ritrovano ad accettare condizioni di (s)vendita svantaggiose.
The Truffle Hunters mette quindi in luce una precisa gerarchia e una completa dicotomia tra due mondi che vivono dello stesso prodotto, ma in maniera diametralmente opposta: da una parte i grandi assaggiatori di tartufo, come Paolo Stacchini, che guidano degustazioni in ristoranti rinomati e che presiedono a compravendite da migliaia di euro, dall’altra i trifolau nelle loro case, nelle loro vecchie auto o mentre scalano a fatica le colline con i loro cani alla ricerca di tartufo. Questo contatto con l’ambiente non può che portare a un difficoltoso confronto con i tempi che cambiano, le condizioni climatiche e dei terreni di quei boschi (le cui trasformazioni i trifolau toccano con mano ogni giorno), l’imprevedibilità delle piogge, una stagionalità completamente stravolta, un suolo impoverito: tutti ostacoli alla crescita del tartufo. A tale aspetto i registi affiancano momenti fortemente improntati alla poeticità: Angelo decanta le sue poesie e vuole scrivere un manifesto contro le brutture della modernità, Carlo fugge nel cuore della notte al chiaro di luna con la cagnetta Titina nonostante i rimproveri della moglie dopo aver spiegato l’aspetto che più ama della ricerca del tartufo: «La cosa bella è trovare un posto che tu non immaginavi».
Chiara Passoni