Nel 2001, lo stesso anno di uscita del violentissimo e conturbante Ichi the Killer, il visionario e poliedrico regista giapponese Takashi Miike realizza con Visitor Q il suo personale Teorema. Riprendendo l’idea narrativa propria dell’opera di Pier Paolo Pasolini, Miike racconta con il suo film l’impatto causato da uno sconosciuto, il visitatore Q del titolo, su una famiglia giapponese alquanto singolare, soffermandosi in particolar modo sui rapporti di uso e di abuso che riguardano i differenti componenti della stessa. A differenza del film di Pasolini tuttavia, il visitatore non funge da elemento disturbante ma da vero e proprio catalizzatore riequilibrante dell’intero nucleo familiare, un’entità che cerca attraverso la sua presenza e le sue azioni di riavvicinare i singoli membri sia per via diretta sia per via indiretta, tentando pertanto di ricostruire ciò che sembra apparire come irrimediabilmente irricostituibile.
Girato con un budget bassissimo, Visitor Q è uno dei sei film che fanno parte di Love Cinema, un progetto avviato dalla casa di produzione CineRocket che aveva come sua mission principale quella di identificare le potenzialità espressive dei nuovi media digitali. In tal senso, Miike fa della mobilità delle videocamere digitali uno dei tratti definitori del suo film, che riesce pertanto ad apparire esattamente come figlio dell’epoca in cui è stato prodotto. Visitor Q è infatti un’opera che per definire la sua impronta estetica sembra riprendere le istanze proprie di un certo modo di fare televisione, ricorrendo in particolar modo al voyeurismo dei reality e alla spettacolarizzazione del dolore, ammiccando allo stesso tempo alle possibilità del porno amatoriale.
È così che la videocamera diventa un vero e proprio attore non protagonista all’interno del film, un agente esterno e metanarrativo che permette così allo spettatore di assegnare alle proprie pulsioni scopofile un orientamento ben preciso. In questo modo, Miike ci rende testimoni del rapporto incestuoso tra padre e figlia, degli atti di bullismo subiti dal figlio, dello spiacevole incidente sul lavoro che ha coperto di ridicolo il padre stesso, ma soprattutto ci mostra da una posizione privilegiata il progressivo ricongiungimento familiare: una possibilità che non poteva verificarsi se non in seguito al raggiungimento della consapevolezza da parte di ciascun membro del proprio ruolo.
Questo ricongiungimento non sembra, almeno inizialmente, possibile. Il protagonista, dopo essere stato aggredito mentre girava un reportage e dopo aver intrattenuto un rapporto sessuale con la figlia (che ha abbandonato la casa di famiglia), non sembra in grado di rideterminare la sua posizione di pater familias. La moglie, vittima di violenze da parte del figlio, è una prostituta tossicodipendente. Il figlio, a sua volta, non riesce ad affrontare i bulli che lo tormentano. Grazie all’intervento del visitatore tuttavia, i ruoli di ciascun membro della famiglia vengono progressivamente ridefiniti e sistemati, non senza passare però da un’incredibile mole di perversione e di violenza. Visitor Q a tal proposito è uno tra i lavori più grotteschi e inquietanti di Takashi Miike, un’indagine cruda e viscerale sul concetto di famiglia che, sebbene portato all’estremo, riesce ad apparire come sicuramente interessante sul piano significativo e non come un mero tentativo di ricerca senza alcun fine specifico dello shock value. Per quanto crudo tuttavia, l’intreccio orchestrato da Miike è anche ricco di tinte black humour che denotano le capacità del regista giapponese (riscontrabili anche in alcuni suoi lavori precedenti, come ad esempio in Shinjuku Triad Society) di riuscire a fare una buona ironia durante quei momenti in cui meno ce la si aspetterebbe, anche là dove normalmente il ridere potrebbe apparire come vietato.
Ribaltando pertanto gli schemi tradizionali del fare cinema, Visitor Q squarcia lo sguardo spettatoriale e ne ridefinisce i connotati. «Come mi dovrei sentire?», si chiede il padre di famiglia mentre i bulli che non lasciano in pace il figlio fanno esplodere dei fuochi d’artificio dentro la sua casa: come ci dobbiamo sentire noi stessi di fronte alla violenza e al degrado che ci vengono presentati quotidianamente attraverso l’immagine televisiva? Come possiamo affermare il nostro ruolo nel mondo senza desensibilizzarci e senza perdere il contatto con la realtà stessa? Da dramma familiare a analogia delle nostre società, Visitor Q ci lascia con la speranza che, nell’estrema follia e perversione in cui il reale sembra essere crollato, si possano verosimilmente individuare dei punti, almeno provvisori, di appoggio, con i quali ancorarci alla vita.
Daniele Sacchi