“Zama” di Lucrecia Martel – Recensione

Zama

Zama (2017), diretto dalla regista argentina Lucrecia Martel (già regista de La Ciénaga, 2001, e de La mujer sin cabeza, 2008) è l’adattamento cinematografico del romanzo omonimo di Antonio Di Benedetto del 1956, un testo fondamentale della letteratura sudamericana. Che si sia letto il libro o meno, quest’opera si regge in piedi da sola e, pur ambientata nell’Argentina del Settecento, diventa un’espressione forte di quell’introspezione e di quel senso di  sospensione che caratterizza diversi autori della seconda parte del Novecento, ma che oggigiorno ha ancora qualcosa da dire.

Diego de Zama (Daniel Giménez Cacho), il protagonista, è un funzionario della corona spagnola nel Nuovo Mondo, è un personaggio molto benvoluto, rispettato sia dagli indigeni che dai suoi compatrioti, ma per certi aspetti la sua fama non lo sfiora. È insofferente, irrequieto, intrappolato in quel luogo che sembra fuori dal tempo. L’incredibile abilità di Lucrecia Martel sta nel riuscire a veicolare questa claustrofobia pur mostrando continuamente spazi aperti, di natura incontaminata, ma con la macchina da presa sempre vicina al nostro protagonista, che raramente è assente dall’inquadratura. Questa presenza continua e questo contrasto evidente, anche cromatico, tra Zama e l’ambiente circostante sono due elementi che già visivamente proiettano quel “male di vivere” del protagonista sullo spettatore.

Zama

Ogni elemento del film sembra volto ad isolare Zama dal resto mondo. L’utilizzo del voice over, per esempio, limitato solo ad alcuni momenti, aiuta lo spettatore a visualizzare quel distacco tra la situazione e l’animo del protagonista, senza risultare in un invadente io narrante, ma dando voce a pensieri estemporanei e tormentati che a volte si sovrappongono alla scena, come nei libri e come nella realtà, spezzando quel muro rappresentato dalla figura apatica e severa che Zama mantiene per tutto il film. La lotta interiore del protagonista è espressa anche tramite Vicuña Porto, pericoloso e ricercato criminale, personaggio completamente speculare rispetto a Zama: sulla bocca di tutti eppure invisibile, fluttuante. La ricerca di questo nemico invisibile, che tormenta una vita senza gioia come quella del protagonista,  si offre a molteplici interpretazioni e fa da sfondo a tutta la storia.

In Zama, quindi, l’esotico non è un luogo di scoperta ed esplorazione, ma un luogo sospeso in cui ogni elemento – dalla luce piatta e ovattata, al girovagare senza meta, sino a certi dialoghi vuoti – porta lo spettatore a desiderare la stessa fuga che il protagonista brama: è, infatti, l’attesa il vero motore della trama. In questa capacità di trasmettere uno stato d’animo in maniera così totale, risiede la grandezza dell’opera di Lucrecia Martel.

Alberto Militello