“A Classic Horror Story” di Roberto De Feo e Paolo Strippoli – Recensione

A Classic Horror Story

Sotto gli occhi inanimati di un trofeo di un cervo, una giovane ragazza sta per vivere gli ultimi istanti della sua vita dopo essere stata brutalmente torturata, mentre un altro occhio, questa volta più vivo che mai, osserva la scena dallo spiraglio di una porta sotto le note de Il cielo in una stanza. È così che A Classic Horror Story si apre ed è proprio questa prima sequenza a suggerire immediatamente allo spettatore una chiave di lettura per ciò che andrà poi a vedere e capire solamente una volta terminato il film.

Elisa (Matilda Lutz), una giovane ragazza incinta, decide di partire per un viaggio in camper accompagnata da altri quattro sconosciuti per un’inconsapevole avventura inedita nell’entroterra calabro. Durante questo viaggio, però, ognuno dei presenti vivrà una storia fuori dal comune, attorniata da folklore e leggenda, da realtà e immaginazione. A Classic Horror Story è proprio questo, una raccolta di citazioni di tutti quei film che, nel corso degli anni, hanno costruito un genere tra i più particolari: l’horror. Soprattutto con l’arrivo del nuovo millennio, l’horror è riuscito a riemergere dall’oblio per porsi tra quei macro-generi che permettono maggiormente una sperimentazione sul mezzo e sul linguaggio stesso del cinema, facendo emergere numerosi giovani autori che nel tempo hanno saputo farsi riconoscere per stile, unicità e consapevolezza narrativa.

Con A Classic Horror Story, il regista Roberto De Feo – accompagnato dal giovanissimo Paolo Strippoli – costruisce un racconto risonante di cliché che, però, riesce a ricavarsi uno spazio nella cinematografia dell’orrore nostrana grazie all’inserimento nella sua narrazione delle tradizioni popolari proprie del nostro Paese. È proprio questo aspetto che arricchisce e rende a suo modo originale A Classic Horror Story. Come si può facilmente dedurre, infatti, l’intero film è costruito su citazioni prepotentemente postmoderniste che, però, affiancate allo spiccato senso folkloristico dei suoi creatori, riescono a dare una vera identità all’intera vicenda e all’arco narrativo che la compone. Come si è già potuto constatare, per di più, Roberto De Feo aveva già rischiato nel suo precedente lavoro The Nest un approccio particolare al genere tentando di applicarvi un radicamento forzato delle istanze territoriali, con un risultato non eccellente ma senza ombra di dubbio interessante.

A Classic Horror Story

In A Classic Horror Story, De Feo ci riprova nuovamente, questa volta in terra calabra, aggrappandosi contemporaneamente sia alla tradizione folkloristica sia alla presenza sul territorio della criminalità organizzata. Purtroppo, però, l’accostamento di questi due aspetti si scontra con la ben più interessante riflessione sul medium cinematografico e sul genere dell’orrore. Da un punto di vista local, infatti, il film si piega su se stesso con tematiche sulla carta intriganti che, però, non vengono approfondite abbastanza da poter essere ritenute punti forti della diegesi. Con un diverso trattamento, probabilmente, questi aspetti sarebbero potuti risultare essenziali nella costruzione di un nuovo filone orrorifico nostrano, proprio in quanto si tratta di peculiarità già di per sé macabre, scomode e sanguinolenti ed in qualche modo rappresentative del nostro Paese e della nostra storia.

Ciò non toglie, però, che questo tentativo possa essere solo il punto di partenza sia per grandi sia per piccoli autori per riuscire a portare avanti un genere che, se affrontato in maniera intelligente, potrebbe riservare grandissimi risultati anche in Italia. Visivamente, infatti, De Feo e Strippoli risultano essere grandi conoscitori dell’horror e, oltre a costruire una difficile diegesi per lo più fondata sul citazionismo di cui si accennava prima, riescono a ricreare atmosfere cupe che funzionano senza sembrare forzatamente kitsch. Ari Aster, Robert Eggers, Jordan Peele, James Wan, Eli Roth sono solamente alcuni degli autori che, negli anni, sono riusciti ad emergere nel panorama cinematografico grazie proprio all’oscurità di cui si tinge l’horror, riflettendo tramite i loro film sia sul genere sia sulla visione dello strano e dell’inquietante in stretta correlazione con l’essere umano.

A Classic Horror Story, oltre a citare visivamente questi grandi e “nuovi” autori, riprende dinamiche tipiche anche della storia del cinema horror in generale, andando a riprenderne tutti i capisaldi e riuscendo ad inserirli egregiamente nell’immaginario diegetico in un gioco di accostamenti interessanti e originali. Non un film perfetto, dunque, ma sicuramente un buonissimo punto di partenza per il lavoro sul genere che si potrebbe portare avanti nel nostro Paese, magari accostando le fiabe folkloristiche nostrane ai codici dell’horror.

Erica Nobis