«Ehi Max, un uomo sale sulla metropolitana qui a Los Angeles e muore. Pensi che se ne accorgerà qualcuno?»
Collateral, thriller urbano diretto da Michael Mann nel 2004, è un film capace di coniugare un intreccio semplice e lineare alla rappresentazione di una splendida Los Angeles notturna, impreziosita ulteriormente dalla fotografia di Dion Beebe. È un lavoro di composizione quello di Mann: è montaggio visivo, sonoro, coreografico, ma anche dialogico. Ma soprattutto, è uno studio degli spazi, a partire da quelli visibili della metropoli statunitense sino ad arrivare a quelli interni del taxi del protagonista, senza per questo tralasciare quegli spazi invisibili intessuti tra le relazioni instauratesi tra i differenti personaggi dell’opera.
A tal proposito, sin dai primi istanti Mann permette al suo spettatore di entrare in perfetta sintonia con il personaggio di Max (Jamie Foxx), un tassista losangelino. Grazie al suo dialogo con una cliente, il procuratore distrettuale Annie (Jada Pinkett Smith), veniamo a conoscenza ad esempio che vorrebbe lasciare presto il suo lavoro e avviare un servizio di limousine. Ma scopriamo anche che è una persona molto attenta ai dettagli e capace di inquadrare perfettamente la personalità della sua cliente, dimostrandosi allo stesso tempo inadeguato nel manifestare il suo apparente interesse verso di lei. L’interesse di Annie tuttavia è stato catturato abbastanza per spingerla a lasciargli il suo biglietto da visita, plot point importantissimo che viene sapientemente nascosto in bella vista da Mann. La serata di Max a questo punto prenderà una piega inaspettata: costretto da un sicario che si fa chiamare Vincent, interpretato da un brizzolato Tom Cruise, si troverà a doverlo condurre in diversi luoghi della città californiana mentre porta a termine un incarico che lo vede impegnato nell’assassinio di ben cinque persone, diventando pertanto complice innocente dei suoi crimini.
Il rapporto che viene a delinearsi tra Max e Vincent vede inizialmente il primo in una netta situazione di sottomissione nei confronti dell’altro, ma ben presto i due diventeranno come due fratelli in conflitto da molto tempo. La sequenza con la madre di Max appare sintomatica in tal senso, ribadendo la natura di Vincent come antitesi di Max ma aggiungendo un netto sottotesto che li vorrebbe come due parti separate di uno stesso intero.
La quasi-trasformazione di Max in Vincent nella scena con il mandante di quest’ultimo, Felix Reyes-Torrena (Javier Bardem), è un’ulteriore conferma di questa dualità sottesa che coinvolge i due protagonisti, una dualità che tuttavia non può essere ricondotta all’intero da cui effettivamente non scaturisce: Max e Vincent sono due individualità completamente differenti tra loro e una convergenza effettiva non sembra possibile.
Inoltre, in Collateral c’è anche spazio per una raffigurazione sommaria delle indagini della polizia sui crimini di Vincent, ma il ruolo di quest’ultima funge più che altro come pretesto narrativo per la costruzione di un’incredibile sequenza d’azione all’interno di un night club. Una sequenza che sembra letteralmente provenire da un videoclip, anche in virtù di un vasto utilizzo nella colonna sonora (curata da James Newton Howard) di brani non originali, come la splendida Shadow of the Sun degli Audioslave del compianto Chris Cornell.
L’intreccio edificato da Mann nella sua opera è in ultima analisi un concentrato di contrasti: quelli di Max, impegnato nell’affrontare l’improvvisa quanto spiacevole situazione in cui si è ritrovato, ma anche quelli di Vincent. «Perché non mi ammazzi e ti cerchi un altro tassista?», chiede Max sull’orlo dell’esasperazione al sicario: un interrogativo al quale Vincent non sembra in grado di dare una risposta definita, colto alla sprovvista nel bel mezzo di una crisi valoriale. Mann pertanto realizza il suo Heat 2.0. che, sebbene non sia un capolavoro come il film del 1995 con Robert De Niro e Al Pacino, riesce a riproporne le intuizioni e la sua coerenza estetica in una veste nuova e singolare, senza ricadere nel già visto e anzi, dimostrandosi ancora in grado di strabiliare gli amanti della settima arte.
Daniele Sacchi