“I Care a Lot” di J Blakeson – Recensione

I Care a Lot

I Care a Lot è una dark comedy scritta e diretta dal regista inglese J Blakeson, presentata al festival di Toronto e rilasciata nel 2020 sulle piattaforme di streaming (Prime Video in Italia). Nel complesso si presenta come un film piacevole e ben ritmato, ma se si mettono da parte le sue qualità più immediate come prodotto di intrattenimento, del film resta ben poco.

Una falla nel sistema giudiziario, un giro criminale ben architettato che funziona perfettamente alla luce del sole e una mente fredda e calcolatrice, sono gli strumenti che Marla (Rosamund Pike) – protagonista di I Care a Lot – usa per truffare gli anziani, facendosi nominare loro tutore legale contro la volontà delle famiglie e spesso contro la volontà degli stessi interessati: in tal modo, la sua attività le permette di disporre a suo piacimento del patrimonio dei suoi “protetti”. Le cose cambiano quando quello che sembra un affare d’oro si trasforma in una serie crescente di vicissitudini frutto del fatto di aver tentato di truffare la vecchietta sbagliata.

L’aspetto più interessante della pellicola è sicuramente il ritmo. Sebbene sia solo il terzo film diretto da Blakeson, il regista inglese ha un’esperienza di scrittura nettamente più solida rispetto al passato. Questo porta a una vicenda molto scorrevole e veloce e ad un film tutt’altro che noioso, con un elemento comico ben pesato e un intrigo sufficientemente articolato, capace di catturare e mantenere l’attenzione dello spettatore, neanche lontanamente però vicino al livello di suspense de La scomparsa di Alice Creed (The Disappearance of Alice Creed, 2009), prima pellicola diretta dall’autore che, seppur con un cast di soli tre attori e un’unica ambientazione, riesce a regalare una narrazione molto più adrenalinica e dai toni inquietanti. In I Care a Lot, il registro è decisamente più allegro, per certi versi potrebbe sembrare una brutta copia dello stile di un altro autore inglese, Guy Ritchie, senza che però i personaggi abbiano la stessa tridimensionalità.

I Care a Lot

Proprio partendo dai personaggi, il discorso si fa più interessante. I tre ruoli principali sono affidati ad attori di alto profilo, la già citata Rosamund Pike, Peter Dinklage e Dianne Wiest, figure che sicuramente restituiscono delle interpretazioni convincenti di personaggi appena accennati – tratto che, comunque, resta funzionale alla vicenda, principalmente focalizzata e tenuta viva dalla “tenzone” criminale tra Marla e il boss della malavita interpretato da Dinklage – con la grossolanità dei loro caratteri che aiuta a mantenere la narrazione snella e il ritmo sostenuto. Il ruolo di Marla è, addirittura, valso alla Pike un Golden Globe come miglior attrice in un film commedia o musical. Senza scendere nel dettaglio dei premi e senza sminuire il lavoro dell’attrice sicuramente meritevole, la constatazione che il film sia una delle pochissime nuove proposte cinematografiche di questo periodo porta con sé l’amarezza di un’industria zoppa e gravata dagli eventi globali recenti. Sembra quasi che la prevalenza delle piattaforme e l’uscita obbligata dei film attraverso di esse, nonché un bisogno estremo di nuovi contenuti, abbia riportato in auge la categoria del film TV, quei prodotti, ovvero, che nascono senza pretese e senza intenti autoriali, che non conosceranno mai il buio della sala, ma che in questo nuovo contesto si trovano loro malgrado a ricoprire dei ruoli importanti perché privi di concorrenza.

Andando un attimo nello specifico, in I Care a Lot sembra regnare anche una certa indecisione di registro. Il tentativo di realizzare un film leggero, ma con toni che danno sul thriller e viceversa, risultano in una pellicola indefinita, poco incisiva che non riesce a superare il velo dell’intrattenimento. Non è chiaro se l’autore volesse inserire una, pur sottile, denuncia puntando il dito contro la falla che rende possibile tutto il sistema criminale di Marla o se l’abbia usata come semplice pretesto narrativo: una scelta incredibilmente specifica in un contesto altamente abbozzato. Alimenta questa sensazione di approssimazione, tornando brevemente sui personaggi, il ricorso a maschere ormai scadute, o comunque da reinterpretare, come il boss russo con il suo goffo scagnozzo, contrapposte a ruoli che invece cercano l’innovazione ma non la trovano. Non basta dare un ruolo vecchio ad un’attrice donna per renderlo originale o innovativo, nonostante sia difficile criticare le performance attoriali.

I Care a Lot è, per concludere, un film assolutamente godibile, capace sicuramente di intrattenere e di divertire, ma che esaurisce il suo ruolo in questi due aspetti. Di certo, un prodotto che non avrebbe riscosso neanche lontanamente lo stesso successo se le uscite “in sospeso” delle major cinematografiche fossero state in gioco, ma sicuramente di buona qualità per la TV.

Alberto Militello