WandaVision, quel sottile confine tra realtà e illusione: la regia di Scarlet Witch

WandaVision

Da sempre, nel mondo del cinema, i riferimenti all’industria cinematografica inseriti nella diegesi dei film sono sempre stati considerati un tocco di classe, e di cinefilia, sia dal pubblico che dalla critica. Come non ricordare, per esempio, il monologo che Edward Norton recita ne La 25a ora? Oppure lo “spettacolo” tenuto da Tom Hardy in Bronson? In entrambi i casi – e solo un relativo numero se consideriamo la moltitudine di film usciti ­– gli attori sfondano la cosiddetta “quarta parete” (quella parete illusoria che limita la finzione cinematografica entro i confini dello schermo) e si rivolgono direttamente al pubblico, coinvolgendolo in prima persona nell’azione filmica. Certamente, le motivazioni di questa determinata scelta da parte del regista possono essere molteplici. Nel primo caso, infatti, Spike Lee decide di inserire quella particolare sequenza per denunciare e ammonire il pubblico sulle tematiche in questione, d’altra parte Refn, invece, vuole sia arricchire la personalità del personaggio, sia presentare al pubblico uno spettacolo vero e proprio. Insomma, ci sarebbero infinite motivazioni per questa scelta alquanto particolare.

Ma questo è solamente uno degli escamotage che rendono un prodotto audiovisivo metacinematografico. Ma che cosa si intende per metacinema? In poche parole, si tratta del cinema che parla e mostra se stesso, quel cinema che non si limita solamente a mostrare un prodotto di finzione ma che, invece, riesce anche a riflettere proprio sul medium cinema mostrando addirittura, in alcuni casi, quello che è il dietro le quinte. Solitamente si è portati a pensare che questo particolare espediente venga usato principalmente nel cinema impegnato ma, ultimamente, anche i prodotti mainstream stanno operando un’interessante riflessione sul mezzo filmico.

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Pensiamo, per esempio, a Spider-Man: Far From Home, uno degli ultimi prodotti Marvel appartenenti all’immenso Marvel Cinematic Universe. Apparentemente in questo film, nel concreto, tutto succede tranne che parlare di cinema. Ma fermiamoci a riflettere sul villain interpretato da Jake Gyllenhaal: Mysterio. Si tratta di un personaggio molto ambiguo che sin da subito mette in difficoltà il giovane Peter Parker. È un abile ingannatore che riesce a mettere in discussione la figura stessa di Spider-Man provocando degli eventi catastrofici in giro per il mondo ma, solo verso metà film, capiamo che, in realtà, i suoi poteri non derivano da se stesso ma dalla tecnologia. Mysterio, infatti, riesce ad illudere i suoi obiettivi grazie a dei microscopici droni che simulano la realtà e che gli permettono di creare illusioni così credibili da ingannare persino Spider-Man e lo Shield. Il tutto viene comandato a distanza da una vera e propria troupe che scrive, produce e mette in atto le storie ideate da Mysterio, attore e regista. Questo è quello che si intende con metacinema. In Spider-Man: Far From Home tutto sembra fare riferimento all’illusione di realtà creata, in primis, dal cinema pur non facendone mai cenno.

Questo delicato discorso sul cinema si può traslare a qualsiasi altra forma di audiovisivo come, per esempio, la televisione. WandaVision (qui il trailer) è la prima serie televisiva originale Marvel appartenente all’MCU che vede come protagonista Wanda alle prese con la sua vita dopo la perdita di Visione. Ma se ci fermassimo a guardare solamente le prime puntate tutto sembrerebbe tranne il proseguo delle avventure di Wanda. Infatti, in ogni puntata lo spettatore viene catapultato direttamente negli anni ’50, ’60, ’70 e assiste alle vicende famigliari di una Wanda e di un Visione inediti, ma non solo. Aspect ratio, colonna sonora, scrittura e recitazione rimandano tutti ad una specifica epoca televisiva e questo fil rouge proseguirà per quasi tutta la serie, destabilizzando di non poco lo spettatore.

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Come i fan Marvel sicuramente sanno, Wanda è una manipolatrice della mente e, come si scoprirà poi in WandaVision, una delle streghe più potenti mai esistite. Nel corso del MCU, Wanda è sempre stata un personaggio secondario, con dei poteri sì forti ma mai quanto quelli dei suoi “colleghi” Vendicatori. Sarà proprio in questa serie che scopriremo, insieme a lei, quanto la perdita di Visione abbia scatenato in lei una forza incredibile grazie alla quale è riuscita a sopravvivere al dolore.

In che modo, quindi, WandaVision si intreccia con il metacinema? La risposta sta proprio nell’immenso potere scatenato da Wanda. Come abbiamo modo di apprendere durante lo sviluppo della diegesi, nel momento in cui Wanda arriva, affranta, là dove lei e Visione avevano in programma di trasferirsi per iniziare una nuova vita, il dolore legato alla perdita del suo compagno la porta a sprigionare una specie di onda d’urto che travolge tutto l’ambiente che la circonda. Appartamenti, case, quartieri, tutta la piccola cittadina di provincia, assieme ai suoi abitanti, vengono coinvolti in questo “esplosivo” e immenso senso di solitudine.

Wanda, per trovare rifugio, costruisce intorno a sé un mondo ideale dove lei e Visione vivono tranquilli e sereni la propria vita coniugale. Se già di per sé questa illusione ricorda molto da vicino la finzione cinematografica, dove spesso lo spettatore si rifugia per sottrarsi temporaneamente ai problemi della vita vera, sta proprio nella forma in cui è mostrata la metacinematograficità di WandaVision la vera riflessione teorica. L’idilliaco quadretto familiare che abbiamo visto nei primi episodi non è altro che la proiezione personale che Wanda ha costruito intorno a sé ispirandosi alle più famose sitcom americane che, in tempo di guerra, guardava con la sua famiglia. Così facendo, Wanda colma il grande vuoto lasciato dalla perdita dei genitori in età infantile, da quella del fratello durante lo scontro con Ultron e dalla morte di Visione nella battaglia contro Thanos. Ecco quindi che la finzione, in questo caso televisiva, diventa la catarsi di Wanda e, insieme, una riflessione sulla sua funzione nel medium.

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Ma WandaVision non si ferma solo qui. La serie conduce anche una profonda analisi sull’evoluzione del linguaggio seriale dagli anni Cinquanta ad oggi, portando sullo schermo interi episodi dove la diegesi si piega alle regole dello stile televisivo (scrittura, formato, narrazione e regia) di una determinata epoca. Se, inizialmente, si partirà con una vera e propria immersione nella sitcom anni Cinquanta dove la vita sembra rappresentata come un favoloso locus amoenus, con il passare delle puntate la realtà si farà sempre più strada nella finzione e nella mente di Wanda ed ecco che, quindi, la sitcom più vicina ai giorni nostri sarà anche quella dove viene rappresentata una famiglia tutt’altro che perfetta e dove i protagonisti si rivolgono direttamente allo spettatore perché sanno che, molto probabilmente, le vicissitudini che stanno affrontando sono facilmente comprensibili anche a chi li sta guardando.

L’illusione creata da Wanda in WandaVision è così potente da averla coinvolta direttamente: ormai non sa più quale sia la realtà e quale la finzione. Nella puntata “rivelatrice”, infatti, Wanda, accompagnata da Agatha Harkness, ripercorre tutte le fasi traumatiche della sua vita per cercare di capire come sia evoluto il suo potere e come, di conseguenza, riuscire a controllarlo al meglio. Ma questo percorso nei meandri più reconditi della sua mente non viene messo in scena come un semplice flashback, anzi. La regista Wanda, che fino a quel momento aveva controllato tutte le azioni “andate in onda” nella sua personale sitcom, in questo caso diventa sceneggiatrice lasciando la sedia da regista ad Agatha e ricostruendo il suo percorso umano appartenente, questa volta, alla realtà. Il percorso all’interno del suo passato diventa quindi un vero e proprio backstage dove ogni porta aperta corrisponde a un teatro diverso e, di conseguenza, a uno scenario di vita differente. Ecco quindi che il backstage di un set televisivo viene associato alla realtà, dove la vita vera scorre, mentre davanti alle telecamere può succedere tutto quello che un regista desidererebbe vedere realizzato nella vita.

WandaVision è uno dei prodotti audiovisivi più interessanti usciti ultimamente che riflettono sui media partendo dallo storytelling del personaggio protagonista. La Marvel, quindi, sfruttando l’abilità manipolatoria di Wanda arriva a riflettere sul medium in un modo molto originale se messo in relazione al genere di riferimento e al suo target. Ecco quindi che questo tipo di riflessione, solitamente portata avanti da generi e produzioni molto lontane dai grandi blockbuster, si sta lentamente facendo strada anche nel cinema mainstream, un cinema pensato per il puro intrattenimento e facilmente comprensibile a tutti. Forse è giunto il momento che tutto il pubblico inizi a riflettere sia sul linguaggio di ciò che sta guardando sia, soprattutto, sull’evoluzione che questo medium sta avendo nell’epoca contemporanea.

Erica Nobis