“I figli degli uomini” di Alfonso Cuarón – Recensione

I figli degli uomini

I figli degli uomini, pellicola realizzata nel 2006 da Alfonso Cuarón come adattamento dell’omonimo romanzo di P.D. James, presenta allo spettatore uno scenario distopico nel quale l’infertilità ha colpito l’umanità, causando una regressione che ha ridotto la realtà ad una continua lotta quotidiana per la sopravvivenza. La distopia messa in scena da Cuarón delinea un mondo immerso in un contesto che incorpora l’atto terroristico come unico mezzo di ribellione al potere, articolando la dimensione della violenza terroristica e della guerra come due universi che si inglobano l’un con l’altro, difficili da isolare e da pensare come separati. I figli degli uomini in tal senso è allo stesso tempo un film di fantascienza, un film di guerra e un film di riflessione sulla natura del terrorismo, dove Cuarón si dimostra abile a combinare stili visuali differenti tra loro riuscendo tuttavia a farli sembrare coesi, rendendo omogeneo l’eterogeneo.

La narrazione segue il punto di vista singolare di Theo (interpretato da Clive Owen), un ex attivista politico che dietro un incarico assegnatogli dalla leader del gruppo terroristico dei Pesci Julian (Julianne Moore) si trova a scortare una giovane ragazza rifugiata rimasta miracolosamente incinta verso la nave Domani. La nave, appartenente al gruppo di scienziati del Progetto Umano, condurrà la ragazza verso le isole Azzorre dove il suo caso verrà studiato per cercare di individuare una cura all’infertilità. Nessuno deve venire a conoscenza di quanto sta accadendo, in quanto i Pesci combattono apertamente e violentemente le politiche di sterminio degli immigrati promulgate dal governo inglese e lo statuto di rifugiata della ragazza stessa potrebbe risultare estremamente problematico agli occhi dello Stato.

A partire già dalla sua trama, I figli degli uomini presenta neanche troppo velatamente un apparato narrativo e concettuale denso e ricco di implicazioni politico-sociali che, sebbene racchiuse all’interno di un intreccio distopico, appaiono ancora oggi come attuali. Il confine tra la brutalità del metodo operativo del gruppo terroristico dei Pesci e tra le terribili pratiche hitleriane messe in atto dal fittizio governo inglese è difficile da determinare con chiarezza, e la linea di demarcazione che separa i due piani si fa molto sottile. Le due parti operano attraverso la violenza per diffondere la propria personale visione morale, determinando paradossalmente il loro posizionarsi al di là della morale stessa.

I figli degli uomini

Theo appare in tal senso come un individuo che riesce attraverso il suo tentativo di distaccarsi dal conflitto che coinvolge i Pesci con lo Stato a mostrare il lato più esplicitamente umano della situazione particolare che lo vede come inaspettato protagonista, attraverso una sensibilità ed un’espressività che permettono allo spettatore non solo di identificarsi con il suo personaggio, ma anche di sperare nella riuscita della sua missione. Una particolarità che, come Cuarón riesce a rendere ben evidente, non significa di per sé il sostenere la posizione insurrezionalista dei terroristi, dai quali Theo riesce a distaccarsi non solo ideologicamente, ma anche e soprattutto in via pratica durante il corso del film, in particolar modo quando diventa evidente che la salvezza della ragazza sia una necessità per il futuro dell’umanità più che per fungere da supporto al messaggio che i Pesci vogliono veicolare e cercare di legittimare.

Sul piano visuale, Cuarón riesce a rappresentare il suo messaggio perfettamente ricorrendo ad uno stile registico fortemente influenzato dalla sua collaborazione con l’acclamato direttore della fotografia messicano Emmanuel Lubezki. Ne I figli degli uomini sono infatti la camera a mano e il frequente ricorso al piano sequenza a fare da padroni nell’intessere un orizzonte estetico singolare che riesce a collocare lo spettatore esattamente nel bel mezzo dell’azione, permettendo la sospensione dell’incredulità, amplificando l’immersione nella trama e l’identificazione con il protagonista. Così, il film di Cuarón si dimostra ricco di sequenze coinvolgenti e sorprendenti che il più delle volte, come ad esempio durante l’incipit nel quale vediamo Theo entrare in un bar e assistere alla sua esplosione pochi secondi dopo esserne uscito, richiamano apertamente la caratteristica propria dell’atto terroristico nel suo darsi come una minaccia invisibile e inaspettata. O, come nel piano sequenza che ci presenta la rivolta della città di Bexhill, richiamano lo stato di guerra nella sua più pura brutalità e amoralità.

Nel suo istituirsi come feroce commentario sociale e nella sua incredibile realizzazione tecnica ed estetica, I figli degli uomini si presta ad essere facilmente annoverabile tra le pietre miliari che il medium cinematografico ci ha sin qui proposto nel nuovo millennio: un film intelligente, capace di riflettere sulla realtà attuale con uno sguardo teso verso i pericoli del Domani.

Daniele Sacchi