L’Âge d’Or di Luis Buñuel, recensione e analisi

L’Âge d’Or

Un anno dopo Un chien andalou, Luis Buñuel e Salvador Dalí tornano a collaborare ne L’Âge d’Or, una satira surreale sull’ipocrisia del sistema valoriale borghese. Una serie di episodi mostrano la difficoltà di una coppia di consumare carnalmente il proprio amore, a causa del continuo intervento delle istituzioni. Nonostante la presenza di un intreccio maggiormente decodificabile rispetto ad Un chien andalou, ne L’Âge d’Or persiste ampiamente il sottotesto surreale e perturbante che qualifica le opere dei due autori, proponendosi come traccia interpretativa predominante del film.

L’impossibilità della coppia di unirsi e di manifestare apertamente la propria sessualità viene costantemente fatta risalire all’oppressione libidica esercitata da istituzioni come lo Stato e la Chiesa, le quali secondo Salvador Dalí e Luis Buñuel finiscono per ridurre irrimediabilmente i bisogni dell’individuo a interessi collettivi di facciata che vengono però considerati come più nobili e “alti” rispetto alla libera espressione personale. Nella lotta ai dogmi cattolico-borghesi, i protagonisti del film – l’uomo è interpretato da Gaston Modot, la donna da Lya Lys – si rincorrono, cercando di opporsi alle costrizioni sociali a cui sono sottoposti.

Dalí e Buñuel ricorrono alle chiavi stilistiche suggerite dalla corrente Surrealista di André Breton per strutturare il tentativo da parte dei protagonisti di intraprendere un effettivo percorso liberatorio. Il punto di partenza e il punto di arrivo del film sono due vignette apparentemente slegate dal contesto principale: un documentario sugli scorpioni, il cui comportamento richiama le tendenze sovversive del personaggio interpretato da Modot, e un episodio tratto da Le 120 giornate di Sodoma del Marchese De Sade. In quest’ultimo segmento, in particolare, la figura del Duca de Blangis tradisce la sua apparenza cristologica assalendo una donna, una provocazione irriverente di Buñuel e Dalí sottolineata ulteriormente dalla successiva immagine di una croce ornata di scalpi femminili.

La sessualità pervade l’età d’oro e l’Eden borghese come un terrificante spettro. La matrice del desiderio che guida le azioni dell’uomo continua a prendere forma pur nel tentativo statale di negarla: scortato da due ufficiali che vorrebbero correggerne gli impulsi, i manifesti pubblicitari si tramutano dinanzi a lui in fantasie erotiche. Parallelamente, la donna sogna il ritorno del compagno, ritrovandosi una mucca da latte nel letto come manifestazione del suo subconscio desiderante, finendo in seguito per succhiare i piedi di una statua. Attorno a loro, il mondo crolla: un uomo spara ad un ragazzino per vendicarsi di uno scherzo innocuo, una donna fugge da un incendio ma le persone attorno a lei si dimostrano noncuranti, un gruppo di clerici si trasforma in grottesche figure scheletriche e così via, tra un quadretto surrealista e l’altro.

Tuttavia, schiavi del loro desiderio, i due protagonisti sono a loro volta non solo vittime, ma anche carnefici. L’operazione controversa e dissacrante di Buñuel e Dalí ha il suo culmine nella riunione conclusiva tra la coppia di amanti, finalmente in grado di dare libero sfogo alla propria passione, solamente però dopo un atto meramente distruttivo. L’uomo, infatti, prenderà a schiaffi la madre della ragazza, aristocratica e ulteriore ostacolo per la coppia, e tutto ciò non sarà comunque sufficiente nel lungo periodo: la sua compagna, infatti, correrà presto da un altro uomo.

Rispetto a Un chien andalou, dunque, L’Âge d’Or architetta un sentiero ben preciso per determinare le derive dell’inconscio dei suoi personaggi. Invece di lasciarsi andare ad una messa in scena dei puri meccanismi psichici dell’essere umano, abbracciandoli diversamente in funzione del suo intento extrafilmico, L’Âge d’Or sfocia in un feroce film di denuncia – soggetto alla censura per anni – che oggi può essere considerato come un vero e proprio prequel simbolico de Il fascino discreto della borghesia.

Daniele Sacchi