“L’Apprendistato” di Davide Maldi – Recensione

L'Apprendistato

L’Apprendistato di Davide Maldi è un documentario che segue il percorso di un adolescente all’interno del rigido istituto alberghiero Mellerio Rosmini di Domodossola. Il film, presentato nel 2019 a Locarno nella sezione Cineasti del Presente, si inserisce a tutti gli effetti nella trilogia del regista sull’adolescenza, iniziata nel 2014 con Frastuono.

Luca Tufano è il quattordicenne protagonista del film e la narrazione è intimamente legata al suo sguardo. Fin dalle prime sequenze, il ragazzo è presentato in seno a un ambiente esterno e naturale, nella stalla in cui lavora alle prime luci dell’alba, durante una camminata per i boschi che circondano la sua abitazione. Questa introduzione al personaggio è una dichiarazione legata al suo spirito e alla sua volontà, ed è proprio in virtù di tale dichiarazione che l’ingresso nell’istituto appare più che mai stridente e dissonante con ciò che è stato presentato fino a questo momento allo spettatore.

Dall’inizio della descrizione della vita nell’istituto, scandita da regole e da una ritualità ripetitiva e svuotata di senso agli occhi dei giovani, il registro visivo cambia completamente. Si crea così una spaccatura anche e soprattutto stilistica che riflette lo scarto tra il carattere del giovane, i suoi desideri e le sue ambizioni, e la quotidianità in cui invece si trova a dover vivere.

L'Apprendistato

Il campo della ripresa si restringe e dalle larghe vedute sui boschi si concentra ora sul viso di Luca e degli altri giovani, ingabbiandoli – irrequieti e insofferenti – in una cornice quasi fisica che trasmette un forte senso di costrizione. Da contraltare alla liturgia dei loro gesti rituali, troviamo le numerose scene in cui i ragazzi si distraggono, ridono e non capiscono le parole dei loro insegnanti (raramente in campo, poiché l’attenzione è rivolta agli adolescenti appunto): si tratta di vere e proprie sequenze che rendono comico quel tripudio di manierismi. I brani musicali elettronici ripetitivi campionano e accompagnano i tintinnii dei bicchieri e dei vassoi rendendoli parte di un arrangiamento elettronico ritmico che sottolinea la comicità che soggiace alle azioni ripetute, alla cura per le minuzie che ai loro occhi appare ingiustificata.

Ciò che resta del contatto con il regno animale e naturale è una visita al piccolo museo di scienze naturali interno alla scuola, in cui gli animali non sono più vivi. Luca si avvicina con una torcia a una galleria di animali imbalsamati, sullo sfondo sonoro una lontana eco dei loro versi (sembra distante la sequenza iniziale in cui con la stessa luce fioca si apprestava a mungere una mucca) o ancora, i giovani si ritrovano in cucina a trattare le carni degli animali.

A dare respiro alla narrazione de L’Apprendistato, che porta l’osservatore all’interno dell’istituto e degli ambienti a esso collegati, sono sporadiche sequenze, rimandi alla vita di Luca al di fuori della scuola. La scena ambientata sulla crociera in cui i giovani prendono familiarità con questo ambiente descritto da immagini stranianti dei passeggeri e da un brillante accostamento tra un discorso quasi ‘motivazionale’ del maître ad immagini in cui sono svolte faccende triviali senza interesse né passione, è seguita da una camminata di Luca nei boschi, circondato da uccelli (questa volta vivi) e da una battuta di caccia, grande passione del ragazzo.

L'Apprendistato

Luca tuttavia viene richiamato alla disciplina in un discorso dei suoi insegnanti sul ravvedimento e sulla presa di coscienza che lo deve portare a un miglioramento. Da questo punto della narrazione de L’Apprendistato, i rimandi dall’interno dell’istituto all’esterno, alla natura, si fanno più frequenti, si ritorna alla battuta di caccia, questa volta conclusa, Luca spara, colpisce l’animale e trascina il suo cadavere per il bosco. A chiudere il film, un discorso del maître che per la prima volta, dall’alto della sua esperienza, parla agli adolescenti per il loro bene, facendo ripetere una formula che insegna loro ad assecondare il cliente in ogni suo desiderio come mezzo per tutelare e proteggere il proprio sguardo, per non farsi sopraffare da un rapporto che è in origine e per sua stessa natura impari e subalterno.

L’Apprendistato trasmette un forte senso di sospensione temporale e spaziale e analizza un periodo complesso della vita, l’adolescenza, che è a sua volta sospeso. È estremamente facile immedesimarsi nella noia del protagonista, negli sguardi vacui, e in questo turbinio di nuovi obblighi e doveri che lo proiettano nel mondo dell’età adulta. Viene da pensare poi che anche la scelta dell’istituto non sia casuale: si tratta di una scuola che sembra ferma nel tempo e che non pare essersi aperta alla contemporaneità.

Tale visione passatista è un utile strumento per Maldi al fine di far risaltare le contraddizioni che sarebbero servite alla progressione del film. Come i ragazzi all’interno dell’istituto, anche la regia de L’Apprendistato segue precise regole: la restituzione del rigore della scuola avviene attraverso le riprese frontali e centrate, che rendono una teatralità quasi atemporale. A queste immagini si contrappongono le scene ambientate nel bosco, quasi sempre girate a mano e di spalle, a seguire il giovane Luca: questa volta è lui a dettare e scandire i ritmi e il passo.

Chiara Passoni