Lightyear di Angus MacLane, la recensione del film

Lightyear

Lightyear – La vera storia di Buzz è lo spin-off realizzato da Disney e Pixar dedicato al personaggio di Buzz Lightyear, uno degli iconici giocattoli del franchise di Toy Story. Angus MacLane, animatore della Pixar da più di 20 anni e già co-regista di Alla ricerca di Dory, dirige questa origin story del giocattolo concentrandosi sulla figura che ne ha ispirato la creazione. Il risultato è un racconto dallo stampo classico, senza particolari sussulti o novità, che se da un lato riesce comunque a portare a pieno compimento le sue premesse, dall’altro non offre mai spunti creativi realmente interessanti o degni di nota.

La cornice narrativa del film si concentra dunque sullo Space Ranger Buzz Lightyear, rimasto bloccato su un pianeta insieme all’equipaggio della sua nave in seguito ad un’operazione spaziale fallita. Buzz si offre volontario per testare le possibilità di effettuare un salto nell’iperspazio e abbandonare il pianeta, ma senza riuscita. I suoi tentativi, della durata di 4 minuti ciascuno, hanno però un costo enorme: a causa della dilatazione temporale, sul pianeta trascorrono ogni volta 4 anni interi. Mentre Buzz cerca di “salvare” il suo equipaggio, la colonia umana sul pianeta in realtà cresce e prospera, sino a quando l’intervento di un gruppo di robot-soldato guidati dall’imperatore Zurg metterà a repentaglio la vita di tutti.

Purtroppo, il carisma di Buzz Lightyear non è sufficiente a rendere interessanti anche gli altri personaggi del film. Se il micio robotico Sox offre almeno qualche momento esilarante, lo stesso non può dirsi del resto del cast, un mix insipido e poco memorabile, specialmente le reclute inesperte che si troveranno a dover aiutare Buzz nella sua lotta contro il minaccioso Zurg. Nel corso degli anni Pixar ha abituato ad un certo livello di qualità sceneggiativa e, in particolare, di sviluppo caratteriale dei personaggi delle sue opere, e in un film come Lightyear, che punta tutto sul contesto che circonda il protagonista per approfondirne la leggenda e il mythos, si poteva fare molto di più.

Lo sviluppo della trama procede linearmente nonostante le disconnessioni temporali che coinvolgono Buzz nel corso dei suoi test, dimostrandosi comunque piacevole da seguire, perlomeno sino alla seconda metà in cui ai cliché tipici del canovaccio supereroistico viene affiancata la necessità di stupire ad ogni costo e di architettare incastri meta-testuali là dove non se ne percepisce alcun reale bisogno.  

Da questo punto di vista, messo a confronto direttamente con il franchise di cui fa parte (nonostante le evidenti differenze di forma), Lightyear è un grande passo indietro rispetto a Toy Story e alla sua capacità di rielaborare le frontiere del racconto tradizionali. A mancare non è solo il substrato emozionale, qui ridotto al minimo sebbene in potenza ci fosse sicuramente ampio spazio di manovra, ma è soprattutto la capacità di stravolgere il conosciuto per esplorare nuovi orizzonti dell’immaginario. Lightyear è un buon film d’animazione by the numbers, convenzionale e ordinario, e proprio per questo anche marginale e trascurabile.

Daniele Sacchi