“Luca” di Enrico Casarosa – Recensione

Luca

Luca è il 24° lungometraggio della Pixar nonché l’esordio “all’italiana” per lo studio d’animazione. Il film, infatti, oltre a essere diretto da un italiano, Enrico Casarosa, è anche ambientato in un paesino di finzione della riviera ligure intorno agli anni ‘60, proponendosi come un racconto di grande spensieratezza, omaggio alla cultura e al cinema nostrano.

Il piccolo Luca (Jacob Tremblay) è una creatura marina. Spinto dalla curiosità e dalla voglia di esplorare, disubbidisce ai genitori e – andando verso la superficie del mare – scopre che fuori dall’acqua assume sembianze umane. Entra così in contatto con Alberto (Jack Dylan Grazer), bambino-marino come lui, ma orfano, solitario e un po’ dispettoso, quasi come un Lucignolo collodiano, affinità probabilmente ricercata esplicitamente. Nel tentativo di coronare il loro sogno di girare il mondo in Vespa, conosceranno Giulia (Emma Berman), la figlia di un pescatore locale, ragazzina sveglia e determinata, che – come Luca e Alberto – è anch’essa una outsider. Insieme tenteranno di vincere una gara sportiva nel paese di Porto Rosso e di dare così anche una lezione al bullo locale.

La semplicità della storia, molto infantile per certi aspetti, aiuta a creare quell’atmosfera nostalgica non tanto nei confronti di un paese che non esiste più, ma verso l’infanzia e tutto ciò che l’estate rappresenta per un bambino, comprese le grandi avventure che solo i bambini riescono a ritagliarsi anche nel più piccolo dei luoghi. Il film racconta –  in maniera neanche troppo velata – la diversità: i protagonisti, in fondo, sono letteralmente dei pesci fuor d’acqua.

Luca

Anche se il clima creato dal film – veicolato a sua volta dallo stile dell’animazione – è volutamente puerile, non mancano elementi indirizzati ai più grandi e agli appassionati di cinema, restituiti nella misura più familiare alla Pixar, quella in cui da sempre si distingue: attraverso i dettagli. Tra locandine di classici italiani, l’abbigliamento e i nomi di alcuni personaggi, ma anche nelle architetture della cittadina di Porto Rosso, ogni elemento celebra – in maniera molto fine in certi casi – le eccellenze italiane e proprio gli anni in cui l’Italia era oggetto di grande interesse internazionale. Si potrebbe dire gli anni della “Hollywood sul Tevere”, tra Vacanze romane (Wyler, 1953) e Amarcord (Fellini, 1973).

L’unica nota stonata potrebbe essere la forte carica di cliché che il film porta avanti, alimentando lo stereotipo italiano creato dal cinema americano, tra esclamazioni inesistenti, la gestualità e la dipendenza dalla pasta. Tuttavia, forse per via della firma italiana alla regia, gli stereotipi finiscono per restituire un quadro parzialmente veritiero, per quanto caricaturale. Resta il fatto che, nel bene e nel male, il film racconta un’Italia del passato, differenza che un pubblico medio – e in particolare americano – potrebbe non cogliere. Infatti, per certi aspetti, Luca celebra la visione che negli Stati Uniti hanno dell’Italia, pur centrando in pieno alcuni aspetti chiave della natura della nostra popolazione, con i personaggi che risultano ben scritti e interessanti pur nella semplicità del contesto.

Il tasto dolente di Luca risiede nella decisione di lanciare il film direttamente in streaming senza passare dalla sala. Il film, per quanto delizioso, non ha molte ambizioni e la scelta risulta comprensibile in un contesto internazionale, ma, per lo stato attuale degli esercizi cinematografici, un’uscita in sala sarebbe stata, oltre che molto significativa, un’ondata d’aria fresca in una stagione con una forte carenza di titoli e di spettatori. Sarebbe, pertanto, interessante capire se la decisione sia riconducibile a una strategia di ulteriore promozione di Disney+ o a uno scarso interesse nel tentare una distribuzione “tradizionale”, quantomeno in Italia. Nonostante tutto, Luca, resta un film in pieno stile Pixar, commovente, nostalgico, divertente e adatto a tutti. Per chi vuole rivivere la propria infanzia o per chi vuole osservare la propria cultura da un’altra prospettiva.

Alberto Militello