M3gan, la recensione del film

M3gan

Ormai lo sappiamo, Jason Blum ha un particolare fiuto per il business cinematografico. Le svariate produzioni horror realizzate attraverso la sua Blumhouse sono generalmente esperimenti a basso costo, qualitativamente non sempre eccelsi, che esplorano filoni e sottogeneri sempre diversi nella speranza di intercettare i gusti di un ideale spettatore medio, giovane e alla ricerca del brivido facile. Si tratta di un business a basso rischio che, sistematicamente, funziona. La nuova fruttuosa creatura della Blumhouse, co-produttrice insieme alla Atomic Monster Productions di James Wan, è la bambola androide M3gan, protagonista dell’omonimo film che in pochi giorni ha già generato grandi profitti al box office rispetto al suo budget esiguo di 12 milioni di dollari.

Il film diretto da Gerard Johnstone (regista e sceneggiatore della brillante commedia horror Housebound) e sceneggiato da Akela Cooper è una nuova interpretazione del topos ricorrente della bambola assassina, da Chucky di Child’s Play (La bambola assassina) sino ad arrivare alla più recente saga di Annabelle. Nello specifico, la bambola M3gan è un progetto apparentemente innocuo realizzato dall’ingegnere robotico Gemma (Allison Williams, già vista in Get Out di Jordan Peele). La ragazza è stata inoltre assegnata come tutrice della nipote Cady (Violet McGraw) dopo la morte improvvisa dei genitori di quest’ultima. Crescere un bambino, tuttavia, è un compito arduo, ed è qui che entra in gioco la bambola M3gan. Progettata per assistere i bambini e diventare la loro “migliore amica”, M3gan sembra una compagna ideale per la piccola Cady, ma presto emergerà la sua reale natura.

Le dinamiche produttive che ruotano attorno ad un film come M3gan, che normalmente dovrebbero rientrare solo marginalmente nel discorso critico, sono in realtà utili per comprendere fino in fondo alcune delle peculiarità che lo caratterizzano. Il film di Johnstone, a conti fatti, è difficilmente assimilabile ad un film horror tradizionale, apparendo più che altro come una sorta di episodio sopra le righe di Black Mirror circondato da una cornice memica ben strutturata. L’assenza di un’atmosfera tipicamente orrorifica, la mancanza di jumpscare e la (non) messa in scena di una violenza “edulcorata” – spesso relegata al fuoricampo –  rendono M3gan un prodotto in grado di catturare facilmente l’attenzione di un pubblico più giovane, riuscendo allo stesso tempo a stimolare una discussione attorno ad alcuni temi più vicini ad una lettura fantascientifica del contemporaneo che possono invece intercettare i gusti anche di una fascia spettatoriale più adulta.

Da questo punto di vista, tra un meme e l’altro (la scena di ballo della bambola sembra fuoriuscire direttamente da TikTok), M3gan riesce anche a suggerire una riflessione interessante circa il ruolo delle intelligenze artificiali oggigiorno, e soprattutto muove una seria critica nei confronti di un certo modo – tutto contemporaneo – di intendere la genitorialità, esemplificato nell’incapacità da parte di Gemma di comprendere le esigenze di Cady durante la crescita e nel superamento del lutto. M3gan, esattamente come un tablet o uno smartphone, diventa così un sostituto genitoriale, conducendo ad una serie di eventi catastrofici irrefrenabili. Non bastano ovviamente queste suggestioni a rendere M3gan un ottimo film, ma nel complesso l’esperienza architettata da Blum, Wan, Johnstone e Cooper riesce perlomeno ad imporsi come un episodio filmico singolare.

Daniele Sacchi