“Maid” di Molly Smith Metzler – Recensione

Maid

Può una ragazza madre – in fuga dalla violenza del compagno – con 18 dollari in tasca e il serbatoio della benzina quasi vuoto, riuscire a crearsi una nuova vita? Questo è l’incipit di Maid, miniserie creata da Molly Smith Metzler e basata sull’omonimo libro di memorie di Stephanie Land, il cui sottotitolo “Lavoro duro, paga bassa e la volontà di sopravvivere di una madre” riassume perfettamente i temi e i motivi di un prodotto dalla grande intensità emotiva che ci porta dentro una realtà complessa come quella della povertà negli USA.

Diversi sono, in effetti, i temi che la serie affronta, dalla violenza domestica all’alcolismo, dalla malattia mentale al patriarcato, ma il triste filo conduttore è quello della povertà, vero e proprio mostro della società americana. Conosciamo così Alex (Margaret Qualley), giovane madre e aspirante scrittrice. Alex passa le giornate a prendersi cura della figlia in un bungalow nella foresta con il compagno (Nick Robinson), barman alcolizzato che sottopone madre e figlia a una vera e propria violenza psicologica. Senza un posto dove stare, senza soldi e senza lavoro, Alex, grazie alla sua intelligenza e forza intraprende un percorso di crescita emotiva e di riappropriazione di se stessa, dei suoi spazi e dei suoi sogni.

Maid

Maid ha diversi punti di forza, primo fra tutti la scrittura – caratteristica fondamentale della serialità – che qui riesce a raccogliere tantissime tematiche, ma senza svilirle. Ogni cosa trova una sua dimensione, tutto è plausibile, non ci sono forzature. L’insieme di problematiche che la protagonista si trova costretta ad affrontare riflette la complessità di un contesto sociale sfaccettato, in cui lo Stato è praticamente assente, se non per piccole realtà che si rivelano fondamentali nel processo di reinserimento e di crescita che perseguito da Alex. Il secondo elemento di forza di Maid è proprio la protagonista stessa, vero e proprio fulcro della serie, che grazie anche alla splendida interpretazione di Margaret Qualley, si istituisce come un personaggio con cui è impossibile non empatizzare. Da un lato l’esile figura dell’attrice intenerisce lo spettatore, dall’altro la fierezza e la dignità con cui Alex affronta le continue avversità che le si presentano non può far altro che coinvolgere in maniera profonda.

In Maid, si nota una sorta di reinterpretazione di diversi tòpoi tipici della scrittura americana, primo tra tutti proprio l’American Dream, qui perpetuato con fatica ma senza nazionalismi di sorta e investito da una precisa soggiacente critica nei confronti dello Stato. Altro elemento che viene incorporato e invertito è quello del white saviour: queste figure – il cui aiuto si rivelerà fondamentale nel corso della vicenda –  appartengono tutte ad etnie diverse. Di nuovo, non ci si trova davanti a una forzatura dettata dal mercato, bensì ciò che viene rappresentato fedelmente è la distribuzione etnica negli Stati Uniti, di per sé multiforme e cangiante. Pur essendo la serie prodotta principalmente dalla Warner Bros., il tono della serie sembra maggiormente riconducibile al contributo della LuckyChap, casa produttrice fondata, tra gli altri, da Margot Robbie (produttrice anche di Una donna promettente, di cui si parla qui), la cui coerenza nella linea editoriale, la rende una realtà produttiva molto interessante.

Tra ottime interpretazioni, una scrittura solida e un coinvolgimento emotivo non indifferente, Maid conferma, ancora una volta, la grande duttilità e qualità della miniserie come format, in grado soprattutto di approfondire tematiche difficili in maniera esaustiva, ma coinvolgente. Sicuramente, ci troviamo dinanzi ad un ottimo prodotto che supera con concretezza la sfida narrativa di raccontare la femminilità, la diversità e la povertà in maniera nobilitante.

Alberto Militello