“The French Dispatch” di Wes Anderson – Recensione

The French Dispatch

Wes Anderson è tornato, e con lui sono tornate le composizioni simmetriche, i colori pastello e la moda vintage. Qualcosa però è cambiato: è mutata la cornice, l’assetto formale che struttura e definisce la sua visione, un po’ come accadeva – con finalità e toni differenti – nel C’era una volta a Hollywood di Quentin Tarantino. The French Dispatch è sia la summa del cinema di Wes Anderson sia qualcosa di nuovo, un resoconto accurato della poetica dell’autore statunitense ma anche un tentativo di proiettarsi in territori estetici che sfidano quanto già tratteggiato in passato.

In antitesi con la sua perfezione geometrica, in The French Dispatch viene meno la necessità di un’integrità strutturale del racconto. Wes Anderson lavora di segmentazione, decentrando la diegesi e delimitandola in uno spazio limitato, ossia tra le pagine del giornale The French Dispatch of the Liberty, Kansas Evening Sun. Quest’ultimo, diretto da Arthur Howitzer Jr. (Bill Murray) nella fittizia Ennui-sur-Blasé, non è nient’altro che l’omaggio e ode di Anderson al New Yorker, un tentativo di lodare un certo modo di raccontare il reale e le sue sfumature, ben lontano dalle dinamiche giornalistiche predominanti al giorno d’oggi.

Il cinema di Wes Anderson, di fatto, ha spesso cercato di trasportare lo spettatore nei suoi immaginari a partire da uno scenario preciso – pensiamo, ad esempio, alla nave Belafonte ne Le avventure acquatiche di Steve Zissou, al Darjeeling Limited de Il treno per il Darjeeling, o al Grand Budapest Hotel dell’omonimo film – per poi sviscerarlo dal suo interno, facendo emergere a dovere le peculiarità dei suoi variegati ensemble di personaggi. Qui, il regista ci trascina tra le pagine del giornale di Howitzer ma lo sguardo è cambiato, il movimento non è teso verso l’interno ma si muove in realtà verso l’esterno, diventa parcellizzato, cangiante, imprevisto.

The French Dispatch

Nell’ordine emerge una punta di caos, che a sua volta viene ossimoricamente ri-ordinato. Suddiviso in quattro “episodi”, che consistono in altrettanti articoli redatti da alcune delle principali penne del giornale, The French Dispatch è un film che vuole restituirci un’impressione, una singola istanza giornalistica considerata come rappresentativa nello spazio di un numero cardine per il giornale. Howitzer, infatti, è deceduto, e ciò che ci è concesso leggere, visionare, esperire, sarà la sua ultima goccia di vita, un best of delle passate edizioni del French Dispatch che mira a restituircene la passione e lo stile.

Così, dal breve tour in bicicletta di Ennui del reporter Herbsaint Sazerac (Owen Wilson) sino al racconto di vita del visionario artista Rosenthaler (Benicio del Toro), dalla rivoluzione studentesca guidata dal giovane Zeffirelli (Timothée Chalamet) e raccontata abilmente dalla cronista Lucinda Krementz (Frances McDormand) sino alle gesta del leggendario poliziotto e cuoco Nescaffier (Stephen Park), Wes Anderson ci trascina in un universo meraviglioso, un archivio artificioso dal sapore postmoderno, sapientemente orchestrato eppure mai veramente unitario e compatto, se non nel costrutto strutturale che lo regola. The French Dispatch è un tableau vivant di racconti e di microracconti, di live action e di animazione, di formati e generi diversi, di colore e di bianco e nero, di protagonisti e di cameo: un sentito omaggio al giornalismo che è anche una fiera celebrazione della settima arte.

Daniele Sacchi