“Malignant” di James Wan – Recensione

Malignant

Dopo le parentesi action di Fast & Furious 7 e Aquaman e cinque anni dopo The Conjuring 2, James Wan torna a dirigere una pellicola appartenente al genere che l’ha reso famoso al grande pubblico, l’horror. Malignant ha inizio tra i corridoi di un ospedale psichiatrico dove un team di medici sta cercando di tenere sotto controllo un paziente borderline. Lo spettatore viene lasciato con il fiato sospeso quando, improvvisamente, l’intera diegesi narrativa si sposta sull’innocente Madison, una ragazza apparentemente normale che inizia a vivere fisicamente delle allucinazioni di cui non riesce a comprendere la natura. Dopo aver “assistito” con la mente a svariati omicidi compiuti da una figura misteriosa, Madison inizia, con l’aiuto della sua famiglia, a ricomporre dei pezzi di una parte della sua vita che ormai pensava sepolta.

Nella cinematografia dell’orrore contemporanea, il nome di James Wan ha sicuramente una certa importanza. Oltre ad aver contribuito al ritorno del pubblico in sala per un genere da sempre considerato di “serie B”, è anche riuscito a costruire il primo vero universo espanso a tinte scure della Storia del Cinema, l’Universo di The Conjuring. Se la firma di Wan è da sempre stata sinonimo di qualità – autoriale e visiva – in Malignant questa fiducia si va a perdere, facendo risultare il film narrativamente banale e registicamente asettico. Pur conservando delle buone intuizioni dal punto di vista tecnico – la bellissima scena della fuga all’interno delle pareti domestiche ripresa in zenitale e la sequenza puramente action nel commissariato di polizia – a Malignant manca la suspense, il mistero, l’atmosfera che Wan era solito donare allo straordinario mondo oscuro di The Conjuring.

Malignant

Sicuramente ispirato a La metà oscura di Stephen King, Malignant fallisce nel tentativo di portare sul grande schermo l’appassionante vicenda narrata dallo scrittore americano scegliendo di rappresentare fisicamente “l’altra metà” senza lasciarla vivere nell’ombra ma svelando, quasi immediatamente, la sua forma. Questa scelta, oltre ad essere poco interessante dal punto di vista visivo per la parte dell’effettistica speciale, diventa anche poco incisiva dal punto di vista narrativo consegnando prematuramente allo spettatore la chiave del mistero. Malignant diventa così un semplice esercizio di stile per James Wan, che non porta a termine nemmeno nel migliore dei modi avendo abituato il pubblico a ben altri livelli di cinema dell’orrore.

L’horror è, ad oggi, uno dei generi cinematografici con più potenziale di esplorazione tra gli stilemi narrativi e tecnici del genere ed è anche una tipologia di film che, rispetto ad altri, potrebbe donare al regista una maggior libertà espressiva poiché, come anche sottolineato precedentemente, è sempre stato un genere sottovalutato. Negli ultimi anni, però, dopo il successo autoriale di James Wan, anche altri giovani visionari sono riusciti a farsi strada tra i nomi dei grandi autori contemporanei. Ari Aster, Robert Eggers, Jordan Peele, David Robert Mitchell sono solamente alcuni dei registi che hanno provato a sperimentare con il genere riuscendo a donare un modello e un’impronta autoriale imitata e replicata anche da altri. Se questi registi hanno conferito al mondo del Cinema un’autorialità fino a quel momento sconosciuta se applicata all’horror, James Wan ha portato avanti una strategia commerciale senza paragoni cercando di replicare in piccolo l’immensa operazione di marketing e scrittura inaugurata dalla Marvel con il proprio universo espanso. Le aspettative sull’occhio registico di Wan sono quindi sempre decisamente alte, peccato che in alcuni casi, come in Aquaman e in Malignant, non riesca a rimanere costante con il suo pensiero autoriale.

Erica Nobis