“Martyrs” di Pascal Laugier – Recensione

Martyrs

Se si volesse fare una classifica dei film maggiormente rappresentativi di quello che oggi viene definito come il New French Extremism, Martyrs figurerebbe senza ombra di dubbio tra le prime posizioni. Il film del 2008 diretto da Pascal Laugier è infatti un concentrato perfetto di quelle istanze proprie di una certa cinematografia francese che, a partire dall’inizio del nuovo millennio, sta riportando in auge tematiche legate alla corporeità e alla violenza, che spesso nel cinema più mainstream si trovano ad essere accantonate o trattate con superficialità.

Martyrs è innanzitutto un film dall’anima duplice, suddiviso in due sezioni narrative ben distinte tra di loro, ma capace di presentarsi come un’opera coerente nella sua multiformità. L’incipit ci pone di fronte alla terribile storia di Lucie, una bambina che è stata rapita e torturata da alcuni individui apparentemente senza alcuna ragione. Lucie è stata in grado di fuggire miracolosamente dalla sua prigione, riuscendo in seguito a trovare conforto nell’amicizia di un’altra bambina di nome Annie, sebbene una creatura spaventosa e demoniaca, probabilmente un prodotto della sua immaginazione, continui imperterrita a tormentarla. Una volta adulta, Lucie, interpretata da Mylène Jampanoï, è sulle tracce dei suoi aguzzini per vendicarsi, e sembra averli trovati in un’abitazione ospitante quella che a prima vista appare come una famiglia normale, nella quale peraltro compare il giovane regista canadese Xavier Dolan in un inaspettato cameo.

Sebbene il soggetto sembrerebbe voler rappresentare chiaramente una trama di pura e cruda vendetta, Laugier decide di compiere a metà circa del runtime del suo film una svolta narrativa acuta non solo modificando il punto di vista principale passando da Lucie ad Annie (Morjana Alaoui), ma sovvertendo allo stesso tempo la struttura tematica e stilistica dell’opera: da revenge movie a torture porn, dall’introspezione psicologica che vede la protagonista affrontare letteralmente il trauma del suo passato (rappresentato dal demone sopracitato) al dolore della carne come forma di estasi mistico-religiosa.

Martyrs

La parola chiave della seconda parte del film diventa in tal senso la trascendenza che l’organizzazione che si nasconde dietro i rapimenti mostrati nel prologo del film ricerca con le sofferenze da loro severamente perpetrate. Il cambio di tono è netto. La continuità nella rappresentazione del dolore avviata nella prima parte del film rimane nel carattere estremo attraverso il quale vengono mostrati il sangue, i tagli e le ferite nel complesso, ma il loro significato muta completamente in conformità con il cambio di paradigma narrativo e tematico. Da conseguenza necessaria delle pratiche vendicative di Lucie, il dolore ora diventa un medium attraverso il quale ricercare il contatto con la divinità, con il mistero dell’aldilà, con l’enigma ontologico della morte per entrare in contatto con l’inconoscibile e trovare così una risposta ai misteri dell’umanità.

Martyrs gioca dunque con le aspettative dello spettatore, alterandole continuamente nella messa in scena del suo perverso soggetto. Forte di un utilizzo intelligente degli effetti speciali e del makeup, la crudeltà attraverso la quale il dolore e la sofferenza vengono rappresentati materialmente si allontanano dal dominio proprio dello shock value di film controversi come ad esempio A Serbian Film (2010, Srđan Spasojević) per ricercare invece una precisa forma estetica del deturpamento corporale. Lo scopo principale di quest’indagine è la riduzione del corpo a oggetto sacrificale nell’ottica di una compensazione divina, allontanandosi pertanto dai sottotesti politico-sociali impliciti di film come Hostel (2005, Eli Roth) o dal puro voyeurismo gore per ricercare invece una soluzione visuale originale nell’affollato panorama di produzioni simili.

Pascal Laugier si dimostra dunque capace di articolare una storia frammentata ma allo stesso tempo coerente con se stessa, riuscendo nel supportarla con lo stile maggiormente adeguato alla sua brutalità intrinseca. Brutalità, crudeltà e manifesto della sofferenza che tuttavia rifugge da una semplice categorizzazione nelle tassonomie classiche dell’horror e dello splatter, rendendo pertanto Martyrs un’operazione unica nel suo genere.

Daniele Sacchi