“Midnight Mass” di Mike Flanagan – Recensione

Midnight Mass

Midnight Mass è il frutto di una lunga gestazione creativa per Mike Flanagan. L’idea della miniserie (inizialmente pensata come un film) risale al 2013 e ne possiamo cogliere già dei vaghi riferimenti in alcune delle sue opere: in Hush, ad esempio, Midnight Mass è il titolo del romanzo realizzato dalla protagonista, lo stesso libro che possiamo scorgere brevemente in una sequenza de Il gioco di Gerald. La miniserie, prodotta da Netflix, arriva dopo il successo di The Haunting of Hill House e di The Haunting of Bly Manor, due operazioni seriali attraverso le quali Flanagan ha dimostrato di saper rielaborare con uno stile estetico e narrativo molto peculiari i complessi materiali di riferimento, L’incubo di Hill House di Shirley Jackson e Il giro di vite di Henry James.

Qui, nonostante l’omonimia con un romanzo di F. Paul Wilson (con il quale, volendo, si potrebbe tracciare qualche parallelismo), ci troviamo invece dinanzi ad un intreccio completamente originale steso dallo stesso Flanagan e ispirato al suo personale rapporto con l’alcol. In tal senso, la parziale sovrapposizione tra l’autore e uno dei protagonisti di Midnight Mass, Riley (Zach Gilford), è automatica. Riley è da poco uscito di prigione dopo aver scontato una condanna per aver investito e ucciso una ragazza mentre si trovava ubriaco alla guida. Desideroso di mantenere la propria sobrietà, l’uomo torna a vivere con la famiglia nello sperduto isolotto di Crockett Island, un luogo la cui comunità, a differenza di Riley, è molto religiosa e legata alla dottrina cattolica. Tuttavia, alla soglia della Quaresima, alcuni eventi smuoveranno irrimediabilmente il quieto vivere dell’isola: l’arrivo di un nuovo giovane prete, Paul Hill (Hamish Linklater), e una serie di miracolosi avvenimenti.

Midnight Mass

Sebbene Midnight Mass sia a monte una produzione di genere che mira a mescolare l’intrigo e il mistero attorno alla figura di Paul con delle forti tinte orrorifiche, l’aspetto predominante che la rende particolarmente originale e che di fatto la determina intrinsecamente è la sua precisa attitudine contemplativa, filosofica, esistenziale. È persino ridondante a tratti, da questo punto di vista: Midnight Mass schiaccia volontariamente lo spettatore con la sua cifra stilistica simil-teatrale, prediligendo l’arte del monologo e della riflessione ai ritmi tipici della serialità modello Netflix. Già nei due The Haunting potevamo scorgere questo tipo di impianto narrativo, ma in questo caso Flanagan sembra tirare un po’ troppo la corda,  dilatando a dismisura la temporalità della diegesi e rendendo le interazioni tra i personaggi poco spontanee ed eccessivamente “costruite”. Siamo pur sempre all’interno di un’opera formalmente horror, d’altronde, e l’equilibrio tra lo show e il tell pende a dismisura dal lato sbagliato, mentre in The Haunting of Hill House l’autore statunitense sembrava aver trovato una quadra perfetta.

Eppure, al di là di tutto ciò, Midnight Mass riesce comunque ad affascinare. Perché, alla fine, i contenuti di quei monologhi non sono parole vuote ma profonde considerazioni sulla morte, sull’alcolismo, sulla propria percezione di sé, sulla fede, sul rapporto tra la religione e la comunità, il tutto sapientemente concatenato con un intrigo capace di mescolare suggestioni bibliche (ciascun episodio prende ispirazione, su un piano metaforico, da alcuni libri della Bibbia) a frequenti, per quanto inaspettate, incursioni nel sovrannaturale, delineando progressivamente per gli abitanti di Crockett Island una vera e propria discesa nel fanatismo più radicale. Nel nuovo contesto istituito dal nuovo arrivato, la tanto ambita salvezza si tramuta da miraggio ad un’effettiva possibilità. O forse, si tratta di una nuova illusione? Per Flanagan, la risposta deve essere necessariamente ricercata tra i confini del Reale, con lo scopo di impedire alle derive tipiche di un certo tipo di pensiero di corrompere la nostra essenza.

Daniele Sacchi