“Petite Maman” di Céline Sciamma – Recensione

Petite Maman

Dopo lo splendido e roboante Ritratto della giovane in fiamme, Céline Sciamma propone con Petite Maman un’opera più misurata, più breve, più piccola. Allo stesso tempo, però, il film si situa in stretta continuità con il resto della filmografia dell’autrice francese, proseguendo la propria personale indagine sull’identità femminile. È un’opera delicata e fragile, Petite Maman, e soprattutto sospesa nel tempo, il riflesso immaginario di un passato e di un presente che si incontrano e che cercano di comunicare, alla ricerca di una risposta al dolore, alla mancanza, al rimpianto.

Tutto ciò, affrontato dal punto di vista singolare di una bambina, la piccola Nelly (Joséphine Sanz). La bambina indaga il mondo attorno a sé e gli eventi che la riguardano con innocenza e curiosità, ma anche con una tenacia fuori dal comune. Il punto di partenza di questo percorso di scoperta del Reale è, purtroppo, un lutto familiare. La nonna di Nelly è venuta a mancare e la bambina si rammarica di non averla potuta salutare un’ultima volta. Nelly trascorre alcuni giorni nell’abitazione della nonna insieme ai suoi genitori, ma il peso dei ricordi spinge la madre Marion (Nina Meurisse) ad andarsene, lasciando la figlia sola con il padre. Presto, però, Nelly farà la conoscenza di un’altra bambina (interpretata dalla sorella gemella di Joséphine, Gabrielle Sanz), il cui nome, curiosamente, è proprio Marion.

Petite Maman

Se da un lato, dicevamo, Petite Maman è meno ambizioso del film precedente di Céline Sciamma, dall’altro lato si dimostra comunque in grado di catturare, con pacatezza e semplicità, la magia di ogni piccolo gesto della sua protagonista. Ogni singola inquadratura del film è un racconto a sua volta, un’esplorazione della realtà – o ciò che si dà per essa – che prende le mosse da uno sguardo puro e sincero, in cerca di un significato verso qualcosa che Nelly non è ancora pronta per comprendere o che, forse, è riuscita in realtà ad assimilare più concretamente rispetto alla madre. A partire da questa tensione e ambiguità, Sciamma articola il proprio racconto mostrandoci lo sviluppo del rapporto tra Nelly e la sua petite maman Marion, un’interlocutrice simulacrale con la quale può confrontarsi con candore e sincerità.

Sciamma elimina dunque ogni differenza sostanziale, riportando questioni “adulte” nei territori espressivi dell’infanzia, con l’incontro tra i due mondi che diventa compensazione simbolica non in un atto distruttivo, bensì in una parentesi di riavvicinamento e di unione: la costruzione di una capanna, il luogo di liberazione catartica e infantile della madre di Nelly. Nella commistione quasi fiabesca tra immaginario e realtà, la regista francese ci restituisce un quadro che riflette con intimità e armonia sulla memoria e sull’esistenza umana, ricercando un superamento positivo e fruttuoso al trauma della perdita. La lezione di Céline Sciamma è un inno alla vita, una richiesta di non fuggire per, invece, affrontare e accettare le sue difficoltà e gli insegnamenti proficui che ne possiamo trarne.

Daniele Sacchi