“Mondocane” di Alessandro Celli – Recensione

Mondocane

Mondocane è il primo lungometraggio di Alessandro Celli, regista finora attivo soprattutto nella serialità televisiva per ragazzi. Si tratta di un esordio decisamente riuscito che porta lo spettatore in una Italia post-apocalittica dalle tonalità punk, intrisa di riferimenti letterari e cinematografici, ma legati quanto basta alla realtà per rendere lo sfondo della narrazione interessante e particolarmente amaro.

La vicenda si svolge in un anno imprecisato, in una Taranto devastata e divisa in due. Da un lato Nuova Taranto, in cui si mantiene ancora una parvenza di civiltà, che accoglie solo i ceti più abbienti e la classe operaia, di fatto schiavizzata; dall’altro lato le zone che una volta circondavano l’acciaieria, deserte e senza leggi, in cui imperversano due bande criminali che si contendono il monopolio degli affari illeciti nella parte nuova della città. Qui, su una barca abbandonata, vivono due orfani (Dennis Protopapa e Giuliano Soprano) che sognano di entrare nelle Formiche, uno dei due gruppi criminali composto principalmente da ragazzini, unica speranza di emancipazione dal contesto marginale in cui sono costretti a vivere, ma anche un modo per restare “al sicuro” in un mondo senza legge. Per entrare nella banda, bisogna provare il proprio valore a Testacalda (Alessandro Borghi), carismatico e sfaccettato leader delle Formiche e unico adulto del gruppo, che metterà a dura prova il solido legame tra i due ragazzi. I luoghi e lo scenario aiutano a offrire un quadro agghiacciante, ma anche altamente credibile, di un futuro in cui l’ottusa e cieca schiavitù dal denaro ha deformato il volto della civiltà, portandosi dietro una lunga scia di vittime, tutte provenienti dalle classi più povere. Così, in questo universo fuorilegge, risuonano echi letterari di ogni sorta, da Peter Pan a Oliver Twist a 1984.

Mondocane

L’elemento più interessante, tuttavia, sono i personaggi che, cosa alquanto rara nella cinematografia nostrana contemporanea, sono ben sviluppati: hanno un loro spessore, i loro retroscena e le loro motivazioni. Anche se non tutti i personaggi vengono approfonditi, come l’agente di polizia interpretata da Barbara Ronchi, la loro aderenza a quell’universo è tangibile e coerente. Il regista, infatti, preferisce dire poco – lasciando immaginare allo spettatore i possibili retroscena – che dire male. Ogni personaggio è, quindi, ricco e multiforme: dietro ogni cicatrice, accessorio, movimento, esiste una storia che non ci viene raccontata, ma che è presente. Tra tutti questi profili brilla sicuramente il personaggio di Testacalda, un villain che fa pensare ai molti cattivi dell’uomo pipistrello di Nolan, fautore di un caos lucido, ribelle contro quel sistema che lo ha reso ciò che è, smanioso di ripristinare a Taranto una qualche forma di giustizia sociale, usando come mezzo la violenza. In Mondocane troviamo anche diversi collegamenti alla letteratura e alla cultura italiana, principalmente legati al rapporto tra i due ragazzi, in cui possiamo apprezzare dinamiche che ricordano il Malpelo verghiano, ma anche la leggenda di Romolo e Remo.

Il paragone con i mitici gemelli, inoltre, non sembra per niente casuale, nel momento in cui si mette avanti il nome di Matteo Rovere, uno dei produttori della pellicola, come anche di una sempre crescente gamma di prodotti che sembrano voler rilanciare la cinematografia di genere che, a prescindere dagli esiti, di certo risvegliano il discorso artistico italiano che va a misurarsi, in maniera del tutto originale, con percorsi inesplorati dal nostro cinema. Il pregio di Mondocane è, quindi, quello di essere un film che regala dell’ottimo intrattenimento, perfettamente inserito in un genere cinematografico che, però, viene finalmente declinato e adattato a una ambientazione italiana: non rinuncia alla scuola dei maestri americani, ma non ne è schiavo. Sicuramente un esordio degno di nota, impreziosito dalla grande visibilità offerta dalla sua partecipazione alla Mostra del Cinema di Venezia nella cornice della Settimana Internazionale della Critica.

Alberto Militello