Omicidio nel West End di Tom George, la recensione

Omicidio nel West End

«Un prologo interminabile in cui tutti i personaggi vengono presentati, ti fai un’idea del mondo in cui vivono e poi il personaggio più antipatico viene accoppato». Omicidio nel West End (See How They Run) mette in chiaro fin dall’inizio le sue carte suggerendo come la storia si svolgerà, e riesce, con l’arma dell’ironia e del metacinema, a rendere comunque interessante il più classico dei gialli. Si tratta di un buon esordio sul grande schermo per il regista Tom George, nonostante nel complesso il suo lavoro sia decisamente poco incisivo.

West End di Londra, centesima replica dell’opera teatrale Trappola per topi di Agatha Christie, il regista americano Leo Kopernick (Adrien Brody) – il quale avrebbe dovuto curare l’adattamento per il cinema della pièce – viene ucciso in circostanze misteriose. A condurre le indagini è l’alcolizzato e svogliato ispettore Stoppard (Sam Rockwell), insieme all’agente Stalker (Saoirse Ronan), entusiasta aspirante detective, goffa, appassionata di cinema ed estremamente loquace.

La scelta dello stratagemma metanarrativo è senza dubbio la carta vincente di Omicidio nel West End, unitamente allo stile umoristico dark che da sempre caratterizza la comicità inglese. Ogni “problema” riguardo al film viene affrontato durante la narrazione, precisamente nei voice over e nei flashback evocati da Kopernick stesso, che resta narratore onnisciente anche se vittima. Sicuramente una scelta azzeccata, anche perché senza questo particolare punto di vista il film rimarrebbe alquanto anonimo, nonostante le ottime interpretazioni proposte da un cast di livello.

Stilisticamente, pur con una già nutrita esperienza televisiva, George è ancora visibilmente acerbo e si serve di un approccio quasi scolastico, ispirato al lavoro di altri maestri, apparendo in ogni caso come un buon mestierante. Forse anche per la presenza di Adrien Brody e di Saoirse Ronan, non si possono non notare alcune affinità con il cinema di Wes Anderson, di cui si ritrovano il guizzo comico, la natura caricaturale di alcuni personaggi, certi movimenti, inquadrature, ma anche la struttura narrativa e l’attenzione alla palette cromatica.

Nonostante la cura ai dettagli e la sensazione di piacevolezza che Omicidio nel West End riesce a trasmettere, il dubbio trasmesso dal personaggio di Kopernick nelle prime battute del film rimane: il regista deve rendere un po’ meno noioso un giallo comunissimo, cercare di allontanare la sensazione del “visto uno, visti tutti”. Ci riesce? Solamente in parte. In un periodo in cui il cinema inglese sembra investire molto sullo sceneggiato giallo, vedi Assassinio sul Nilo, che partendo sempre da Agatha Christie ha tutto un altro approccio – ma anche tutt’altro budget – Omicidio nel West End si presenta come un’alternativa molto interessante, con una certa originalità e un’attitudine anche artisticamente più intrigante, peccando però di incisività.

Alberto Militello