Nel mio nome, la recensione del film di Nicolò Bassetti

Nel mio nome

Il dibattito sulla rappresentatività della comunità transgender nel cinema e nella televisione è più che mai attuale – ne è un ottimo esempio il documentario Disclosure, disponibile su Netflix – poiché attuale e urgente è l’esigenza di ridefinire e dare corpo a un lessico e a un immaginario legato a questo mondo. È in questa tendenza che si inserisce Nel mio nome, documentario diretto da Nicolò Bassetti (autore di Sacro GRA e di Magnifiche Sorti) che, partendo da un’esperienza personale, segue quattro ragazzi transgender che vivono nei pressi di Bologna.

L’idea del film nasce dalla lettera scritta da uno dei tre figli di Bassetti al padre, in cui gli comunica che sta per lasciare le sponde del genere femminile, e che lo invita a seguirlo e ad avere fiducia. Consapevole che la lettera segna l’inizio di un lungo percorso i cui risvolti saranno chiari solo con il passare del tempo, Bassetti decide di affiancare a questo percorso quello di conoscenza e scoperta di altri universi simili, quelli di Nico, Andrea, Raffaele e Leo.

L’autore, seguendo i ragazzi per due anni, mette quindi il suo sguardo professionale al servizio di questi quattro giovani, e non è difficile intravedere nella prospettiva del regista quella del figlio Matteo. Matteo è infatti consulente autoriale ma non protagonista del film che ha suscitato l’interesse di Elliot Page – tanto da diventarne produttore esecutivo – e che ha partecipato alla sezione Panorama della Berlinale.

Nel mio nome è un film positivo, gioioso, vitale, perché riflesso dei quattro ragazzi che raccontano con naturalezza le loro vite, i loro corpi che cambiano, le loro memorie infantili non conformi. Sinceri e pazienti nei loro dialoghi con parenti, amici e genitori, nello scontrarsi con i vuoti normativi e i tribunali, Nico, Andrea, Raffaele e Leo iniziano un cammino di decostruzione e riunificazione tra tutte le loro parti.

La similarità tra le loro esperienze è chiara e sono altrettanto chiare le loro differenze caratteriali e di interesse: Nico è concentrato sulla natura, il suo terreno, gli alberi e nel frattempo esplora spazi urbani marginali, Raffi sta sempre armeggiando su una bici in ciclofficina, Andrea scrive racconti e aspetta di poter portare a termine l’intervento chirurgico di rimozione del seno, Leo tiene un podcast in cui tratta di identità nelle sue molte forme. «Un transizione di genere è uno degli atti cruenti più sovversivi che esistano» affermano i ragazzi e l’osservatore capisce grazie al film che è necessaria per riappropriarsi di una mascolinità sottratta loro da una società fortemente binaria guidata da un’esigenza e un rigore classificatori che lasciano poco spazio alle divergenze.

Nel mio nome è un documentario liberatorio che mostra identità in metamorfosi continua, persone mai uguali a loro stesse, l’abbandono di un corpo e di un nome che sono percepiti come un limite (così, una vecchia carta di identità viene sciolta e sgretolata con soddisfazione). Nel farlo, racconta la felicità di quattro giovani che finalmente si ritrovano nel loro corpo e la cui espressione di genere coincide infine con la loro identità.

Chiara Passoni