“Picnic ad Hanging Rock” di Peter Weir – Recensione

Picnic ad Hanging Rock

Picnic ad Hanging Rock, cult cinematografico del 1975, è ancora oggi ritenuto un film talmente tanto etereo e puro nella sua rappresentazione dell’idea del sublime (insieme al suo darsi come un’interessante riflessione sul male gaze) da aver persino causato in tempi recenti la produzione di un remake in salsa seriale delle vicende che racconta. L’opera di Peter Weir, in realtà, in qualità di operazione quasi unica nel suo genere, non si presta di per sé ad alcuna riduzione a mere sequenze di twist, cliffhanger e quant’altro tipiche delle tv series, bensì trascende apertamente gli orizzonti del piano narrativo per proporre qualcosa di incredibilmente originale che esalta a pieno le qualità proprie del medium cinematografico.

A tal proposito, Weir in Picnic ad Hanging Rock decostruisce le fondamenta narrative dell’omonimo romanzo del 1967 di Joan Lindsay per realizzare un’opera che, in quanto prodotto audiovisivo, pone in maniera estremamente marcata l’enfasi su quelle qualità che definiscono il cinema in quanto tale. Se da un lato il film potrebbe essere inserito in una configurazione tassonomica che lo ascriverebbe al mystery drama o al whodunit, dall’altro si presenta sin da subito come un’esplorazione del sentimento panico della natura nel suo incommensurabile rapporto con l’essere umano.

A darsi come perno centrale di questa relazione vi è la formazione rocciosa di Hanging Rock, in Australia, vero e proprio focus del film sia dal punto di vista narrativo sia da quello più marcatamente visivo. Un gruppo di studentesse del collegio Appleyard, poco distante da Melbourne, si reca ad Hanging Rock per l’annuale picnic di San Valentino insieme a due insegnanti. Durante il pomeriggio, alcune ragazze ottengono il permesso di osservare più da vicino le rocce di origine vulcanica del luogo, ma tre di loro non faranno inspiegabilmente ritorno. Grazie all’allarme lanciato da Edith, accortasi della scomparsa delle amiche, inizierà una ricerca delle ragazze che tuttavia, nelle sue fasi iniziali, finirà per causare anche la scomparsa di una delle insegnanti.

Picnic ad Hanging Rock

La peculiarità principale di Picnic ad Hanging Rock, come anticipato, risiede soprattutto nella sottile noncuranza con la quale il mistero della scomparsa delle ragazze viene affrontato. Il punto risiede altrove: il mistero sta nella natura stessa, nel suo dispiegarsi di fronte a noi, immensa, indescrivibile. Peter Weir indugia più volte nel riprendere Hanging Rock, la sua conformazione, i suoi dettagli, insieme allo snodarsi dei suoi percorsi, presentandoci la magnificenza della natura e rendendola di fatto una protagonista attiva del film. Quelle che normalmente fungerebbero da establishing shots per mostrarci il contesto di riferimento della trama del film diventano invece dei veri e propri modi per sottolineare a dovere l’emergere dell’inspiegabile. La misteriosa scomparsa delle ragazze non ha risposta: la natura (forse) le ha reclamate, in un’insorgenza inenarrabile che trascende i confini di ciò che può essere compreso dalla mente umana.

A margine, Weir inserisce in Picnic ad Hanging Rock anche un approfondimento sensibile sull’orientamento dello sguardo spettatoriale. I pochi personaggi maschili presenti nell’opera svolgono il ruolo dello spettatore maschile stesso, che in qualità di predatore incapace di poter raggiungere la sua preda viene ridotto a un mero osservatore incapace di agire attivamente su ciò che desidera. Michael, un giovane aristocratico inglese in vacanza, osserva le ragazze passeggiare insieme al suo domestico Albert. Per i due inglesi, l’oggetto del desiderio è distante e irraggiungibile (emblematica in tal senso è la sfrenata ricerca delle ragazze scomparse svolta in seguito da Michael stesso), e l’unica cosa che possono effettivamente fare non è nient’altro che l’atto stesso di osservare passivamente, commentando volgarmente le qualità corporee delle giovani ragazze, impossibilitati dal poterle effettivamente possedere.

Nel disvelare le meccaniche strutturali del male gaze, è soprattutto Miranda (interpretata da Anne-Louis Lambert) a giocare un ruolo fondamentale in Picnic ad Hanging Rock. Il suo fascino etereo viene reso evidente a più riprese da Weir, che sofferma su di lei più e più volte la macchina da presa, esaltandola attraverso particolari che a prima vista potrebbero apparire insignificanti, come l’attraversamento di una piccola pozza paludosa che diventa in realtà un vero e proprio saggio sulla sua figura. Con l’enfasi sul dettaglio, Miranda si dà come una metafora dell’irraggiungibile e dell’impenetrabile, qualcosa che ammette di essere sottoposto solamente ad una singola imposizione di dominio: quella dello sguardo stesso.

Picnic ad Hanging Rock si impone sin dalle sue premesse come un film che di fatto era destinato a diventare opera di culto. Allontanandosi dal tradizionale, scardinando alla base i propri generi di riferimento, la pellicola di Peter Weir è tuttora un esempio importante dell’impatto e delle conseguenze che il medium audiovisivo può avere sulle produzioni culturali umane.

Daniele Sacchi