“Polytechnique” di Denis Villeneuve – Recensione

Polytechnique

6 dicembre 1989. Un ragazzo di nome Marc Lépine si reca presso l’École Polytechnique, il Politecnico di Montréal, e spara a 28 persone, uccidendone 14. Le vittime sono tutte donne. Prima di fare fuoco, Lépine afferma di essere lì per un motivo specifico: combattere il femminismo. Nel 2009, a vent’anni dal massacro, Denis Villeneuve realizza con Polytechnique il suo personale tributo alle vittime di quella terribile giornata. Sebbene la pellicola sia stata recepita freddamente in Québec, giudicata come un’opera giunta troppo presto e che «rievoca troppi ricordi» (cfr.), il regista canadese ha difeso il valore del proprio lavoro ribadendo a parole quello che già le immagini del suo film presentano con chiarezza: il cinema non è solo intrattenimento, ma è un’arte che ha anche il dovere specifico di riflettere la realtà delle cose.

Così, Polytechnique (girato interamente in bianco e nero) rievoca la tragedia di Montréal partendo dal punto di vista preciso delle vittime stesse, presentato sin dall’incipit del film. In apertura, infatti, Villeneuve si sofferma sulle attività quotidiane degli studenti durante una normale giornata di studio presso l’università canadese. Presto, queste vengono interrotte dagli improvvisi spari di Lépine (interpretato da Maxim Gaudette). La reazione è incredibilmente umana: inizialmente, Villeneuve non mostra allo spettatore urla e fughe disperate, ma solo lo stupore degli studenti di fronte all’incombere di un evento impensabile e imprevedibile.

Il focus sull’aspetto umano viene presentato in numerose altre occasioni durante l’opera. In particolare, Villeneuve decide di raccontare la vicenda attraverso il vissuto di due studenti specifici: Jean-François (Sébastien Huberdeau) e Valérie (Karine Vanasse). In questo modo, la contestualizzazione dell’evento non solo viene arricchita dalle due esperienze individuali, permettendo così allo spettatore di seguire lo sviluppo dell’azione del killer in diversi momenti e luoghi, ma allo stesso tempo il regista canadese ci permette di affrontare il dramma dal suo lato più umano. Allo spettatore viene permesso di costruire progressivamente una vera e propria relazione empatica con i due ragazzi, rompendo la barriera del fittizio (per rispetto alle vittime i personaggi non corrispondono a persone reali, come indicato in una didascalia all’inizio del film) e realizzando in questo modo una connessione implicita tra la sofferenza di chi era davvero presente quel giorno e la ricezione di tale sofferenza attraverso l’immagine cinematografica, che si trova pertanto a svolgere una funzione testimoniale.

Polytechnique

A differenza di un film come Elephant (Gus Van Sant, 2003), Polytechnique non si ferma a lungo sulle cause che hanno condotto al massacro in sé, bensì ci offre solamente una breve panoramica sulle intenzioni dell’assassino attraverso la lettera di suicidio scritta dallo stesso. L’approccio visivo perseguito da Denis Villeneuve nei confronti del massacro è teso verso una rappresentazione che non sente il bisogno di una riflessione estesa sulle motivazioni e sul pensiero di Lépine, mostrandosi coerente nella sua intenzione commemorativa piuttosto che di indagine sociale. I pochi riferimenti alla psicologia deviata dell’assassino sono in ogni caso motivo di approfondimento.

Lépine, come riportato anche nel film, si definisce un érudit rationnel, uno “studioso razionale” mosso da un profondo rancore verso il femminismo. «Le femministe non lottano per rimuovere le barriere tra i sessi», bensì secondo l’assassino lottano per travisare a proprio vantaggio le conoscenze ottenute dagli uomini nel corso della storia. Dietro al pensiero di Lépine risiede un forte senso di oppressione individuale al quale viene ricercata una causa indipendente da esso, esterna e non correlata, creando così un’entità altra al quale assegnare il ruolo di nemico. In particolare, il ragazzo ricorre ad un linguaggio specifico che sottolinea come l’uomo sia l’autorità ultima in grado di dire alle donne come devono comportarsi e quali diritti possono avere.

A partire dalle consapevolezze che emergono dalla lettera dell’uomo, Villeneuve ci presenta un personaggio estremamente risoluto nel mettere in atto le sue azioni malate. La brutalità e la fermezza con la quale assassina ragazza dopo ragazza sono il risultato di un pensiero che diventa reale attraverso l’azione violenta, mostrando così come la rabbia sociale non sia un fenomeno da sottovalutare o da prendere alla leggera. Parallelamente, vi è anche un’altra faccia della medaglia. Se da un lato vi è l’insorgenza di un individuo oppresso dai propri costrutti mentali, dall’altro vi è il personaggio di Valérie, il cui attaccamento alla vita si presenta come una valida alternativa al ricorso alla violenza. Nel tentativo di cercare una risoluzione ai problemi che affliggono le nostre società, Polytechnique ci intima di rifuggire dalla pulsione di morte per rifugiarci invece nelle potenzialità della vita.

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Daniele Sacchi