Small Deaths, la recensione del corto di Lynne Ramsay

Small Deaths

Tre momenti di smarrimento, tre perdite di innocenza, tre “piccole” morti. È il fulcro dei brevi segmenti che compongono Small Deaths, cortometraggio di debutto di Lynne Ramsay e premio della giuria al Festival di Cannes del 1996, una raccolta di fotografie del dolore, istanti ed impressioni di una sofferenza interiore ben precisa, intraducibile a parole, che si manifesta attraverso attimi fugaci ma estremamente vividi. Il dolore di Small Deaths non riguarda in alcun modo il dominio del corporeo, bensì abbraccia la sfera dell’animo ed opera con lacerazioni e rotture improvvise, ferite invisibili che emergono da incomprensioni, comportamenti inspiegabili e azioni tiranniche.

Il cortometraggio, nello specifico, si sofferma su tre episodi della vita di una donna, le tre “piccole morti” del titolo. Il primo segmento mostra la protagonista del corto, Anne Marie, ancora molto piccola, in casa con il padre e la madre. La bambina gioca spensierata mentre il padre si sta preparando per uscire, congedandosi con un lapidario «torno più tardi». Anne Marie, triste per quella che sembra preannunciarsi come l’ennesima assenza paterna, chiede alla madre quando rivedrà il padre. La sua risposta è secca, la verità è sempre la stessa: «più tardi». La prima “piccola” morte dell’animo giunge fredda ed inesorabile, con la bambina che continua ad osservare la porta nel fuoricampo, persa in un attesa infinita, delusa e amareggiata (per quanto sicuramente incapace di comprendere fino in fondo il significato di un allontanamento), in un momento che è di fatto cristallizzato ed eterno, chiuso in se stesso grazie ad un netto taglio di montaggio. Senza alcun sentimentalismo di sorta, l’attenzione si sposta verso il secondo segmento del corto, lasciando aleggiare dietro a sé lo sconforto provocato da una rottura inspiegabile.

Small Deaths

Continuando sulla scia di un marcato realismo visivo (cifra stilistica che manterrà nei suoi lavori successivi), Lynne Ramsay ora ci mostra Anne Marie adolescente mentre gioca nei campi insieme alla sorellina. Il percorso di crescita della ragazza, però, sta per scontrarsi ancora con la durezza del reale, prefigurando un abbandono definitivo della dimensione della spensieratezza e del gioco. In questo caso, infatti, Anne Marie si trova di fronte ad un vero e proprio urto: la seconda “piccola” morte, per la ragazza, si realizza nel suo incontro con una morte effettiva e, soprattutto, nella realizzazione dell’esistenza di una prevaricazione tirannica nei confronti dell’Altro che è lontana da ogni logica pura e benevole.

Una mucca morente, infatti, è stata brutalmente uccisa da un gruppo di ragazzini. I close-up sulle ferite sono accompagnati extradiegeticamente dalle mefistofeliche urla dei bambini, fieri delle loro azioni riprovevoli. La macchina da presa accompagna così lo sguardo incredulo di Anne Marie, sottolineando il suo totale smarrimento dinanzi ad una violenza e brutalità senza senso, irriducibile ad ogni possibile spiegazione. Non si tratta più di uno sguardo carico di domande, come si poteva notare nella prima sequenza del corto, ma di una morte interiore che, piano piano, si sovrappone simbolicamente a quella della mucca: gli occhi della ragazza si abbassano in una contemplazione orrorifica, mentre gli occhi dell’animale agonizzante invece si girano, lasciando nuovamente il compito al montaggio di eternizzare questo istante.

Small Deaths

Il cambio di tono di Small Deaths, rispetto alla sua prima metà, coinvolge anche l’ultimo segmento, denominato Joke (“scherzo”). Anne Marie, ormai adulta, assiste all’overdose di una ragazza. Il fidanzato di Anne Marie e i suoi amici, anch’essi presenti sulla scena, le chiedono in modo scontroso e brusco di chiamare i soccorsi, per poi scoppiare tutti in una fragorosa risata appena Anne Marie lascia la stanza. L’ultima “piccola” morte è il tradimento, e ancora una volta viene evidenziata in particolar modo – e senza mezzi termini – una sostanziale perdita di fiducia nell’Altro risiedente alla base di ogni cosa, una resistenza qui modulata attraverso uno scherzo grottesco che prevede come sua matrice fondamentale la derisione e l’abuso.

L’indagine complessiva della regista scozzese, per quanto limitata e didascalica (il corto, d’altronde, è stato realizzato come progetto finale per la laurea), è indice di una grande sensibilità autoriale. In pochi minuti, Ramsay si dimostra in grado di catturare l’essenziale, di riuscire a dargli una forma concreta, pungente e assolutamente non scontata, piegandolo allo stesso tempo ai propri fini in un’esperienza a modo suo folgorante.

Daniele Sacchi