Enrico Cattaneo. Rumore bianco, l’omaggio di Francesco Clerici e Ruggero Gabbai

Enrico Cattaneo

«L’amore per l’oggetto è una componente fondamentale del mio lavoro. Gli oggetti sono sparsi in tutto lo studio: da lattine raccolte per strada a sofisticati strumenti da falegname o da muratore». Il fotografo milanese Enrico Cattaneo, al centro del documentario Enrico Cattaneo. Rumore bianco di Francesco Clerici e Ruggero Gabbai, descrive così il sentimento predominante che orienta la sua produzione, rilevando in questo amore per l’oggetto che lo «perseguita» una passione espressiva peculiare e pienamente definitoria della sua poetica fotografica. Attraverso uno sguardo intimo e soprattutto rispettoso, l’omaggio di Clerici e Gabbai è anche una vera e propria indagine, un tentativo di raccontare l’uomo che si cela dietro alle sue opere, la sua predisposizione e i suoi pensieri.

Enrico Cattaneo, nato nel 1933 a Milano e scomparso nel 2019, avvia il suo percorso artistico con il fotoreportage sociale a partire dal dopoguerra sino ad arrivare alla stagione ribelle degli anni ’60. Poi, l’incontro con l’arte contemporanea e, nello specifico, il passaggio da una sensibilità neorealista – e quindi la necessità di catturare il reale, di cogliere l’attimo, di rendere eterno ciò che nell’osservazione del quotidiano «d’istinto ti interessa» – ad una ricerca più personale, fatta appunto di oggetti, di manipolazioni chimiche e tecniche, di documentazione sociale e artistica, ma soprattutto di interpretazione. Agli aspetti biografici, il documentario preferisce tuttavia un esame sincero e genuino dell’uomo sia durante il corso di un evento pubblico, la mostra del 2018 Take Away, sia all’interno della sua abitazione, luogo che è specchio e vetrina del suo essere.

Enrico Cattaneo

Da questo punto di vista, Enrico Cattaneo. Rumore bianco cattura con una naturale immediatezza l’attitudine nei confronti dell’arte – e, di conseguenza, la precisa disposizione dell’animo – del fotografo milanese, che con spontaneità e ironia alterna al racconto del suo vissuto una panoramica sulla sua forma mentis. Il montaggio del documentario ben si adatta all’incedere frammentario – e nondimeno affascinante – dei discorsi di Enrico Cattaneo, in un mélange sapientemente orchestrato per soffermarsi a tratti sul raccontato a tratti sul raccontante, muovendosi dalle sue fotografie sino ai processi creativi che le accompagnano, dai dettagli più squisitamente personali e caratterizzanti come la passione per il fumo a elementi invece “esterni” come le telefonate che spesso interrompono la sua giornata.

La scelta di permeare alcuni momenti del documentario da una sottile coltre di rumore bianco riprende, per analogia, proprio il tentativo di dare forma e di cristallizzare qualcosa che di per sé non può essere isolato in una singola istanza di significato. Non siamo nei territori di analisi simbolica del rumore mediale collettivo, paranoide e ossessivo pensato da DeLillo, tutt’altro: si tratta, invece, di un fruscio distensivo e pacifico riportato ad una dimensione individuale, un “errore” ponderato e parte fondamentale del nostro incontro con la personalità e le opere di Cattaneo, nonché una presa di coscienza pacata – ma comunque decisa, concreta, avvertibile – sull’impossibilità costitutiva di una definitiva reductio ad unum del pensiero umano e dell’arte. Il documentario di Francesco Clerici e Ruggero Gabbai, in tal senso, è un omaggio significativo, perché in grado di cogliere, con una semplicità efficace, l’essenziale.

Daniele Sacchi