“Sweet Tooth” di Jim Mickle – Recensione

Sweet Tooth

Le visioni post-apocalittiche sono un tema ricorrente nelle produzioni mediali della società contemporanea. Negli anni abbiamo imparato a vedere ogni tipo di fine del mondo: zombie, virus, robot, bombe nucleari e chi più ne ha più ne metta. Siamo così abituati a questo tipo di narrazioni che arrivano ad influenzare la nostra vita quotidiana. Pensiamo in questo senso a tutti i codici mutuati dal cinema che sono stati utilizzati nella recente pandemia dai mass media, a come hanno reagito certe fasce di popolazione con veri e propri assalti ai centri commerciali, o a come certe persone trovino più semplice credere ad una trama fantascientifica come quella di un ordine mondiale segreto che vuole ucciderci piuttosto che affrontare la verità di un mondo imprevedibile e indipendente da noi. In questa sovrabbondanza di apocalissi è difficile trovare qualcosa di veramente nuovo, un prodotto che abbia ancora qualcosa da aggiungere al genere. Sweet Tooth, la recente serie Netflix sviluppata da Jim Mickle e ispirata al fumetto di Jeff Lemire ci prova e, pur appoggiandosi su tropi ormai classici, in parte ci riesce.

La serie racconta la storia di Gus, un giovanissimo ibrido umano-cervo che è stato cresciuto in totale isolamento dal resto del mondo. Il padre ha infatti creato un rifugio nel parco di Yellowstone in seguito al crollo della società civile, avvenuto dieci anni prima a causa di un contagioso e mortale virus che ha decimato la popolazione mondiale. Nemmeno il migliore dei padri è in grado di difendere il proprio figlio dal mondo per sempre e Gus dovrà imparare a sopravvivere in una società che accusa gli ibridi di essere portatori della malattia, pronta a sterminarli.

Sweet Tooth

Se è vero che i riferimenti a cui Jeff Lemire attinge sono numerosi, è altrettanto evidente che il principale di questi è La strada di Cormac McCarthy, un romanzo che ha enormemente influenzato l’immaginario fanta-apocalittico occidentale. Rispetto a quest’ultimo, Sweet Tooth adotta però un tono più ottimista, amplificando quegli elementi che nel romanzo apparivano solo come flebile spiraglio di speranza. In particolare è la figura dei bambini a diventare salvifica nella serie Netflix: i giovani ibridi uomo-animale non sono solo un nuovo step dell’evoluzione umana, bensì rappresentano anche la necessità di tornare ad una comunione con la natura per poter rifondare un mondo più giusto, capace di superare il sistema hobbesiano rappresentato dagli ultimi uomini e dal generale Abbott.

La storia di Gus e dei suoi amici sembra voler suggerire che, se è vero che per le vecchie generazioni rappresentate dagli adulti e dai teenager è «più facile immaginare la fine del mondo che la fine del capitalismo» – come ricordava Mark Fisher nel 2009 – allora il compito di superare questa impasse della società contemporanea è da affidare ai giovani dei movimenti ambientalisti come i Fridays For Future. Il futuro del genere umano, di fatto, deve necessariamente passare per un nuovo atteggiamento di rispetto e di collaborazione con la natura.

Gianluca Tana