Nirmata è una parola in nepalese che significa “creatore divino”. In The Creator, l’ultimo film diretto da Gareth Edwards, il termine rimanda nello specifico al creatore delle moderne intelligenze artificiali, venerato da alcune comunità come una divinità. A partire da questo spunto, il regista – già conosciuto per Rogue One – propone un film che in linea teorica appare come ben riuscito, ma che al lato pratico manca di momenti particolarmente incisivi. Oltre a ciò, The Creator è passato in sordina al grande pubblico, mentre in un periodo pre-Marvel avrebbe probabilmente trovato uno spazio e un successo diversi. Cosa è andato storto, quindi?
La trama del film racconta di un ipotetico futuro in cui macchine, umani, cyborg e intelligenze artificiali coesistono pacificamente portando il mondo a prosperare. Un incidente atomico, attributo a un errore dell’A.I., divide però in due il mondo: l’Occidente americano, quasi maccartista, che vorrebbe epurare il mondo dalla minaccia dell’intelligenza artificiale e l’Oriente “buddhista” in cui tutte le creature cercano di vivere in armonia, credendo nella libertà di ogni individuo sia esso umano o macchina. In questa guerra fredda, una spia dell’Occidente (John David Washington) è vicina a scovare il guru del credo Orientale, Nirmata, ma l’uomo viene ostacolato durante l’operazione dal suo stesso team, perdendo la moglie conosciuta proprio sotto copertura (Gemma Chan). Tornato in azione dopo diverso tempo, si troverà a proteggere una creatura unica e inaspettata, una bambina solo per metà umana (Madeleine Yuna Voyles), che viene profetizzata come l’arma che distruggerà l’Occidente.
Il film apre a tanti spunti interessanti. Era da tempo che non si vedeva un blockbuster di fantascienza che non fosse semplicemente critico del presente, ma che problematizzasse effettivamente delle tematiche attuali proiettandole nel futuro. Senza troppi mezzi termini, il film coglie l’intelligenza artificiale per quello che è, il successivo enorme scalino dell’evoluzione tecnologica dopo la nascita della rete. E nell’epoca del grande sciopero degli sceneggiatori e degli attori americani in protesta, tra le altre cose, proprio verso l’utilizzo dell’A.I. nell’industria cinematografica, il monito di The Creator non potrebbe essere più calzante. Ma allora, perché questo film è stato un flop al botteghino? In tal senso, bisogna interrogarsi su quale sia il ruolo della fantascienza nel cinema mainstream di oggi. Basta fare un salto indietro di circa 20 anni: Io, Robot, ad esempio, affrontava il discorso sul ruolo che la tecnologia stava assumendo agli inizi del 2000 nella società, attingendo alla letteratura del padre della fantascienza, Isaac Asimov, ma restituendo un prodotto assolutamente pop e piacevole nella sua semplicità, pur con una sua specifica profondità.
In The Creator, diversamente, manca una realtà visiva che sia originale e iconica. Le sue immagini e le forme sembrano scopiazzare apertamente l’universo di Star Wars su cui Edwards ha già messo mano. Secondariamente, in questa tendenza contemporanea di inseguire il realismo e la verosimiglianza, viene a mancare la presenza di momenti importanti – anche leggeri – che siano realmente memorabili. La storia è coinvolgente e ha degli spunti, come anticipato, interessanti, ma scorre senza lasciare molte tracce. In ultimo, il filone della fantascienza è ormai troppo diluito e influenzato dalla massiccia produzione seriale e supereroistica. Purtroppo, da questo punto di vista, The Creator è un film “solitario” che fatica ad affermare un immaginario su un pubblico abituato alla massa, alla quantità.
La fantascienza mainstream al cinema, insomma, ha perso quella sua iconicità, depotenziata dalle serie colossali. The Creator è un prodotto che conferma questa nuova regola nel cinema sci-fi e pigramente spreca un’idea interessante, un’occasione per allargare il discorso sull’A.I. con un prodotto realmente d’impatto. È giusto riconoscere, però, come Edwards riesca nonostante tutto a dipingere uno scenario assolutamente interessante di convivenza con le macchine, e proprio questa sua lungimiranza rende il film universalmente valido, ma presto dimenticabile.
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Alberto Militello