The Eternal Daughter, la recensione del film di Joanna Hogg (Venezia 79)

The Eternal Daughter

Dopo il successo di critica The Souvenir e The Souvenir Part II, la regista e sceneggiatrice britannica Joanna Hogg approda in concorso alla Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia con lo spettrale The Eternal Daughter. Una perfetta Tilda Swinton è la protagonista del film in un doppio ruolo (come accadeva anche nel Suspiria di Luca Guadagnino) che la vede interpretare una madre (Rosalind) e una figlia (Julie) durante un periodo di vacanza trascorso in un hotel infestato dalle memorie del passato.

L’idea per l’autrice e regista Julie è di sfruttare la serenità della vacanza per iniziare a scrivere in tranquillità il suo prossimo film, mentre Rosalind desidera celebrare il proprio compleanno in pace all’interno delle stanze dell’hotel, ex residenza familiare in cui ha trascorso buona parte della sua vita. Per entrambe si tratta dunque di un momento per riconnettere con se stesse e per rinsaldare il loro rapporto, ma non sarà affatto un percorso semplice. L’hotel, infatti, sembra non ospitare altri clienti, e di notte, tra le sue stanze abbandonante, accadono eventi misteriosi ed inquietanti.

Joanna Hogg realizza con The Eternal Daughter un film molto personale, concepito a partire dal suo stesso rapporto materno, in cui gli echi spettrali del passato si fondono con i timori e le difficoltà del presente. Tra sibili infernali, figure spiritiche che appaiono dietro le finestre, porte che si aprono da sole e rumori assordanti, la (non) vita notturna dell’hotel non permette a Julie di dormire, creando un arguto parallelismo tra il suo tormento interiore e l’ambiente angosciante che la circonda.

The Eternal Daughter non è però un film horror in senso stretto. La regista britannica si limita ad accennare gli elementi orrorifici per poi soffermarsi maggiormente sulla questione principale del film, ossia la relazione tra le due protagoniste. Il ricorso ad un substrato spettrale serve a Hogg per tracciare sentieri dell’immaginario che suggeriscano la presenza di traumi del passato, di ferite ancora aperte, di sentimenti profondi ma ancora sopiti che devono, in qualche modo, venire a galla per permettere un’eventuale liberazione e un movimento catartico.

Le sequenze topiche del film, infatti, consistono in particolare nelle cene tra Julie e Rosalind, momenti di toccante espressione personale che diventano un’occasione proficua per confrontarsi a vicenda, con Julie che vorrebbe scrivere il suo film proprio sulla vita della madre (un elemento in parte metacinematografico, se pensiamo all’idea autoriale alla base dello stesso The Eternal Daughter). Non mancano anche momenti di quiete e di ironia, come nel pacifico confronto tra Julie e il custode Bill o nel personaggio della sfaticata e poco comunicativa receptionist e cameriera. The Eternal Daughter è un’opera di grande intimità ma anche di gran gusto cinematografico, retta da un’interpretazione duplice che non appare mai forzata, con Tilda Swinton che riesce a vestire alla perfezione i panni di due personaggi stratificati e, soprattutto, vivi.

Le recensioni di Venezia 79

Daniele Sacchi