“The Fall” di Jonathan Glazer – Recensione

The Fall

È passato qualche anno ormai da Under the Skin (2013), esperimento monumentale e opera cinematografica chiave della nostra contemporaneità, e Jonathan Glazer sembrerebbe quasi essere scomparso dai radar. In realtà, il regista e videomaker britannico è attualmente al lavoro su un nuovo lungometraggio, e nel frattempo MUBI ha reso disponibile per il prossimo mese il suo cortometraggio The Fall (2019), sino ad ora trasmesso solo su BBC. Glazer prosegue il suo percorso di ricerca sperimentale già avviato in Under the Skin, muovendosi su binari ben diversi rispetto ai primissimi film del regista, in una breve ma intensa esperienza misteriosa e straniante corroborata dall’ansiogena colonna sonora realizzata da Mica Levi.

Nei suoi sette minuti di durata (di cui due di crediti), The Fall concentra in pochissime sequenze un racconto ricco di simbolismo e di stratificazioni concettuali. Un gruppo di persone mascherate assale un individuo, per poi impiccarlo in un pozzo che, a prima vista, sembrerebbe quasi senza fine. Prima di destinare l’uomo ad una caduta lenta e inesorabile, il gruppo posa con il suo corpo e scatta una foto, ricordo e memento delle loro azioni. Il riferimento, come dichiarato dallo stesso Jonathan Glazer, è ad una foto di Eric Trump e di Donald Trump Jr. scattata dopo una battuta di caccia in Zimbabwe, scatto che, nel dettaglio, ritrae i due figli dell’attuale Presidente degli Stati Uniti mentre esibiscono con orgoglio la loro preda, un leopardo.

The Fall

The Fall sembra dunque parlarci di una caduta allegorica che non riguarda specificamente l’uomo condannato dal gruppo, ossia colui il quale viene preso come capro espiatorio e trasformato in vittima sacrificale, ma l’intera società che ha deciso di renderlo tale. La maschera indossata dal gruppo, insieme alle movenze dei loro corpi, richiama una dimensione depersonalizzante dell’essere umano che, in un certo senso, si trova in una condizione primitiva ed irrazionale, sebbene sul piano tecnologico vi siano stati dei progressi (pensiamo alla presenza del cellulare). Progressi che però non appaiono come tali dal lato più peculiarmente umano: la riduzione del soggetto, dell’Altro, ad oggetto di derisione lascia spazio solo a sentimenti di prevaricazione e di sopraffazione. Al di là di qualsiasi presunta giustificazione che potrebbe risiedere dietro ad atti di questo genere, il destino di chi suo malgrado diventa preda sembra essere irrimediabilmente segnato.

In The Fall troviamo così echi ben precisi di alcuni contesti sociali ed antropologici propri della nostra epoca che, se da un lato potrebbero ricordare facilmente l’America trumpiana o la Brexit, dall’altro sembrano in realtà rappresentare tendenze purtroppo ben più diffuse e totalizzanti dell’esperienza umana contemporanea. Tra le ispirazioni per il corto bisogna segnalare a tal proposito anche un’opera di Francisco Goya, El sueño de la razón produce monstruos, che raffigura un artista in preda all’incubo di una società corrotta, marcia e irrecuperabile. Glazer, come Goya, riproduce cinicamente ciò che osserva quotidianamente in un breve racconto di terrore e di oppressione che presenta, a modo suo, le contraddizioni intrinseche del nostro mondo, nella soppressione della razionalità umana in favore del “ragionamento di pancia”. In tutto questo, The Fall lascia però un’apertura, uno spiraglio per una possibile ripresa e cambio di direzione: la speranza di una risalita, difficoltosa ma – con il tempo e con la costanza – praticabile.

Daniele Sacchi