“Tre colori – Film rosso” di Krzysztof Kieślowski – Recensione

Tre colori - Film rosso

Tre colori – Film rosso (1994) è il capitolo che chiude la trilogia dei colori di Krzysztof Kieślowski, una pellicola dedicata all’esplorazione del tema della fraternité nonché uno degli episodi migliori della carriera del regista polacco. Dopo aver affrontato le prime due parti del motto nazionale francese nelle sue opere precedenti, la liberté in Tre colori – Film blu e l’égalité in Tre colori – Film bianco, Kieślowski propone in Film rosso una storia fragile e delicata sull’amore, sulla connessione con l’altro, sulla vicinanza.

Tre colori – Film rosso, tuttavia, è soprattutto un’opera coraggiosa che vuole riflettere su questi argomenti a partire dalla differenza, pensata però non attraverso quegli elementi che ci separano e che ci allontanano l’un dall’altro, ma dai punti di contatto. Tra i due protagonisti del film, da questo punto di vista, vi è inizialmente una distanza, soprattutto morale, che sembra non poter contenere dentro di sé alcuna possibilità di avvicinamento. La pellicola, nel dettaglio, racconta di una giovane modella di nome Valentine (Irène Jacob) e del suo incontro con un giudice in pensione, Joseph (Jean-Louis Trintignant).

Valentine ha investito il cane di Joseph, ma l’uomo non sembra interessato alla salute dell’animale e chiede alla ragazza di tenerlo con sé. Nel tentativo di convincere il giudice a riprendersi il cane, che peraltro attende dei cuccioli, Valentine scopre il particolare segreto dell’uomo: Joseph spia i propri vicini di casa, intercettando quotidianamente le loro conversazioni telefoniche. La reazione della ragazza alla scoperta del segreto di Joseph è sintomatica della differenza sostanziale tra i due personaggi. L’integrità morale di Valentine le suggerisce di rivelare ai vicini di casa di Joseph ciò che l’uomo sta compiendo alle loro spalle. Tuttavia, qualcosa in lei le intima di fermarsi.

Tre colori - Film rosso

Valentine si trova dunque persa di fronte al dilemma per il quale la giustizia legale sembra darsi come una risposta insufficiente nel rendere conto dei quesiti etici che sorgerebbero nel rivelare non tanto le azioni dell’uomo, bensì il contenuto il più delle volte compromettente delle stesse intercettazioni. Parallelamente, l’interesse verso la situazione personale di Joseph prende presto il posto dell’indignazione. Cosa ha portato una figura come quella di Joseph, che in virtù del proprio ruolo passato di giudice dovrebbe rappresentare la giustizia, a pensare di potersi porre al di là di ciò che è legale?

Kieślowski approfondisce così, nel rapporto tra Valentine e Joseph e nelle loro storie individuali, il potere della scelta, l’impatto che una persona può avere su di un’altra attraverso la facoltà di agire o nel rifiuto di ogni intervento. Tre colori – Film rosso è un viaggio filosofico nell’animo umano, un tentativo coraggioso e riuscito di trasformare le complessità delle relazioni intersoggettive in immagine cinematografica. Allo stesso tempo, l’opera del regista polacco è anche un’esplorazione della ciclicità dell’errore e della fallibilità intrinseca dell’essere umano, rappresentate ad esempio attraverso un parallelismo implicito tra Joseph e il laureando in giurisprudenza Auguste (Jean-Pierre Lorit), vero e proprio doppio speculare del giudice.

L’architettura narrativa di Tre colori – Film rosso è imprevedibile nella sua apparente linearità, in un continuo stimolo della curiosità dello spettatore che cerca di istituire un parallelo sensibile tra lo sguardo di Valentine e lo stesso sguardo spettatoriale. Kieślowski, come negli episodi precedenti della trilogia, rende il colore che dà il titolo al film un elemento predominante, caricandolo di una vitalità specifica che ci trasporta da una sequenza all’altra e che riempie di significato, espressivo ed emozionale, aspetti che normalmente non risalterebbero come ugualmente importanti. La pubblicità di un chewing gum che vede come protagonista Valentine diventa così, nella sua semplicità, un evento di fondamentale importanza, non tanto nell’esame complessivo degli eventi raccontati nel film, ma per il suo profondo valore metaforico, il quale nella fase risolutiva si presenterà come portatore di nuovi orizzonti interpretativi, dove le tensioni tra caso e destino, risentimento e perdono, tragedia e pace si presentano tutte insieme in uno spazio comune.

Daniele Sacchi