Un couple, la recensione del film di Frederick Wiseman (Venezia 79)

Un couple

Non capita spesso di trovarsi a visionare un film di finzione di Frederick Wiseman. Anzi, sarebbe più corretto dire che non capita mai. In carriera, infatti, il prolifico documentarista statunitense non si è mai spinto pienamente nei territori del cinema di finzione, accarezzandoli solamente in alcune occasioni come nel caso di The Last Letter, una breve rivisitazione di un capitolo di Vita e destino dello scrittore sovietico Vasilij Grossman. In ogni caso, il suo nuovo lavoro Un couple può essere considerato come una prima effettiva incursione nella fiction – è lo stesso regista d’altronde a sostenerlo – dopo 60 anni trascorsi a fotografare la realtà con uno sguardo analitico ed imparziale.

Il film, in concorso alla 79esima edizione della Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, è stato girato durante la pandemia di Covid-19 sull’isola Belle-île. La base narrativa di Un couple è quella del racconto epistolare: il film, dal carattere sperimentale, tratta infatti della corrispondenza tra Lev Tolstoj e la moglie Sofja Tolstaja (conosciuta anche come Sonia), cercando di tradurre in immagine il loro complicato rapporto amoroso in poco più di un’ora di runtime.

Nello specifico, ad accompagnare le immagini di Un couple è un lungo monologo recitato dall’attrice francese Nathalie Boutefeu, liberamente tratto dai diari personali della coppia e dalle lettere che Lev e Sofja si scambiavano a vicenda pur abitando nella stessa dimora. Senza conoscere il contesto che si cela dietro al film, tuttavia, Un couple potrebbe anche essere interpretato come una metafora universale sui tormenti e sule sofferenze di un amore non più corrisposto, dal momento che non vi sono richiami diretti ed espliciti alle due figure in esame (se non i loro nomi).

Un riferimento di Un couple è sicuramente il cinema di Marguerite Duras, specialmente nella continua giustapposizione tra le immagini che compongono il film – le onde che si infrangono sugli scogli, i fiori primaverili, i boschi dell’isola – e le parole pronunciate dalla donna, relative invece alla sua relazione con Tolstoj (la frase «questo amore era solo smarrimento e finzione» coglie bene il punto della questione). Con pochi mezzi ma con tante idee, il regista statunitense si allontana dalla distanza formale dei suoi documentari – pur mantenendone l’impronta – per realizzare un’opera sentita e viva sul piano emotivo, permettendo allo spettatore di entrare in sintonia con il “personaggio” di Sofja Tolstaja, sintesi di due personalità il cui punto di vista femminile però si presenta come principale e fondamentale.

In una continua commistione tra un monologo struggente e un meraviglioso impressionismo paesaggistico, Frederick Wiseman architetta così un piccolo film sul divenire e sul mutamento che afferma con evidenza e candore lo splendore del cinema e l’abilità della settima arte nel dipingere immaginari che sono sempre e costantemente sospesi tra le frontiere del reale e il reame del fittizio.

Le recensioni di Venezia 79

Daniele Sacchi