Bones and All di Luca Guadagnino, la recensione (Venezia 79)

Bones and All

In Bones and All, Maren (Taylor Russell) è alla ricerca di un qualcosa di specifico, una spiegazione che possa risolvere il suo dilemma esistenziale, una soluzione per inquadrare la sua “diversità” e, di fatto, la sua posizione nel mondo. Nell’America reaganiana, momento di proliferazione del culto del cosiddetto sogno americano, Maren si trova invece a coltivare un interesse differente, o meglio ancora una legittimazione differente: la giovane ragazza, colta da impulsi cannibaleschi sin da infante, desidera comprendere a fondo la sua natura per normalizzarsi.

Non è un caso che nel film di Luca Guadagnino, in concorso alla 79esima Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, si parli spesso di “regole” che possano definire i limiti entro i quali un cannibale possa esercitare le proprie pratiche, perché la questione principale trattata al centro del film porta con sé problematiche relative al quieto vivere e, soprattutto, implicazioni di natura ontologica. Accompagnata da Lee (Timothée Chalamet), Maren viaggia dunque dalla Virginia sino al Midwest in cerca dell’unica persona che possa darle una risposta circa la sua condizione, ossia sua madre. La coppia di innamorati erranti e ai margini della società si muove di Stato in Stato per colmare il vuoto esistenziale che li segna in profondità, feroci e determinati nel voler affermare il proprio Sé.

Dopo essersi appropriato delle atmosfere horror di Suspiria di Dario Argento offrendone la propria (discutibile) versione, Luca Guadagnino cerca con Bones and All di adattare il romanzo omonimo di Camille DeAngelis mantenendo comunque una forte matrice orrorifica di base (più tendente al gore rispetto all’horror in generale), ma coniugandola con i particolari percorsi di vita dei suoi due protagonisti, legati da una precisa carica espressiva e sentimentale – ma non strettamente sentimentalista – che a tratti rimanda all’intimità emotiva che emergeva a più riprese nel meraviglioso Chiamami col tuo nome.

Questa emotività, tuttavia, non può che scontrarsi con le situazioni macabre e grottesche che Maren e Lee si trovano a dover continuamente vivere nel corso del loro viaggio alla (ri)scoperta del loro corpo, della loro interiorità e delle loro pulsioni. Bones and All mette in scena un movimento duplice, di scontro e repulsione da un lato, di incontro e di comunione dall’altro, cercando di inquadrare i suoi freaks come metafore di un senso di disagio più diffuso, indipendente dalla loro parafilia cannibale. Se la coppia di protagonisti riesce a trovare una sintesi nella propria unione amorosa, lo stesso non si può dire però per altre figure che appaiono nel corso del film, come l’inquietante e ossessivo Sully, interpretato da un magistrale Mark Rylance, o come i personaggi interpretati da Michael Stuhlbarg e Chloë Sevigny, il cui incontro si dimostrerà fondamentale per Maren e Lee nella determinazione di cosa non ambire ad essere.

In tutto ciò la regia di Luca Guadagnino si dimostra perfetta e di una sensibilità peculiare persino nei momenti visivamente più espliciti del film – un aspetto che in Suspiria appariva, al contrario, come una vacua spettacolarizzazione – i quali vengono rivestiti da un’artisticità del macabro e del lugubre non edulcorata e perfettamente in linea con i toni del rappresentato. Tra coming of age liberatorio e saggio sulla marginalità sociale, Bones and All è una graditissima sorpresa.

Le recensioni di Venezia 79

Daniele Sacchi