“Vertigo” di Jeon Gye-soo – Recensione (FEFF 22)

Vertigo

Vertigo (2019), l’ultima fatica di Jeon Gye-soo (conosciuto soprattutto per il suo film cult Midnight Ballad for Ghost Theater), è un’indagine grigia e malinconica sulle difficoltà sociali vissute dalle donne in Corea del Sud. Il punto di vista principale è quello di Seo-young, interpretata da Chun Woo-hee (già vista nel terrificante The Wailing di Na Hong-jin), una giovane graphic designer di Seoul. Nel grattacielo in cui lavora, Seo-young intrattiene una relazione segreta con un suo superiore, mentre il lavavetri Gwan-woo (Jeong Jae-kwang) è invece solito osservarla di nascosto. La trama del film si metterà effettivamente in moto quando la ragazza si accorgerà dell’uomo, ricambiando platonicamente le sue attenzioni.

Una delle peculiarità principali di Vertigo è la condizione individuale di Seo-young, la quale soffre di acufene e di vertigini proprio da quando ha iniziato a recarsi quotidianamente nel grattacielo dell’azienda per cui lavora. Ai disagi amorosi e a quelli di salute, si aggiunge poi la condizione lavorativa precaria della ragazza e il rapporto difficile con la sua famiglia, toccando diverse corde ed emozioni e rendendo il film un’opera complessa da metabolizzare da un punto di vista tematico. Spesso, infatti, sembra che Jeon Gye-soo perda un po’ il filo della narrazione, non riuscendo a mantenere costantemente alta l’attenzione spettatoriale su quello che dovrebbe essere il focus specifico dell’esperienza cinematografica proposta.

Vertigo

In ogni caso, nei giochi di sguardi tra Seo-young e Gwan-woo si cela quello che di fatto è il senso complessivo del film. La donna è in cerca di momenti di evasione dalla sua condizione di crisi personale e la sua storia clandestina sul luogo di lavoro è già un passo verso questa direzione, ma il rapporto particolare che la lega a Gwan-woo è ben diverso. Da questo punto di vista, Vertigo ricorda molto le suggestioni di un’opera come Ferro 3, capolavoro del 2004 di Kim Ki-duk sulla solitudine e sulla necessità del contatto umano. In Vertigo, in una maniera molto simile, sia l’uomo sia la donna sono spinti da un bisogno di vicinanza con l’alterità che, nelle loro vite, è assente o, più precisamente, è presente in un modo che non permette loro di esprimere realmente ciò che che provano in profondità.

Sebbene Jeon Gye-soo ci offra uno sguardo anche sulla vita dell’uomo, il vero punto centrale dell’esperienza proposta in Vertigo riguarda Seo-young, dal momento che – come anticipato – il regista sembra percepire un’esigenza specifica nel raccontare lo stato della donna nel suo Paese. La storia di Seo-young è, infatti, la rappresentazione della condizione di molte persone in Corea del Sud e comprende purtroppo un orizzonte di violenza e di molestie alle quali la ragazza non può che soccombere. L’unica speranza per lei diventa proprio quel gioco di sguardi con Gwan-woo, uno spazio privato di fuga dalla realtà e di tentativo di ristabilire una connessione tangibile con l’alterità. In generale, Vertigo affronta temi importanti, meritevoli di considerazione, con un tono delicato e fragile, supportato pienamente dalla grande interpretazione attoriale della sua protagonista. Pur apparendo a tratti come una copia sbiadita ed eccessivamente melodrammatica di Ferro 3, il film di Jeon Gye-soo presenta una serie di problematiche sociali e psicologiche sulle quali, ancora oggi, dobbiamo fermarci a riflettere a lungo.

Le recensioni del Far East Film Festival 22

Daniele Sacchi