“Boogie Nights” di Paul Thomas Anderson – Recensione

Boogie Nights

Il viaggio di Paul Thomas Anderson all’interno dell’industria pornografica degli anni ’70 e ’80 prende il nome di Boogie Nights – L’altra Hollywood, secondo film del regista statunitense che a 27 anni dimostra (ma lo si poteva già intuire nel suo debutto Hard Eight, Sydney il titolo italiano) di possedere un’enorme padronanza del medium cinematografico. Boogie Nights è un’opera corale costruita attorno all’ascesa dell’emergente pornodivo Dirk Diggler (Mark Wahlberg), personaggio liberamente ispirato a John Holmes e già introdotto in The Dirk Diggler Story, un cortometraggio in stile mockumentary realizzato da Anderson nel 1988.

Il giovane Dirk – in realtà il suo nome di battesimo è Eddie Adams – lavora come lavapiatti in un nightclub californiano. L’incontro con il regista pornografico Jack Horner (Burt Reynolds) porterà il ragazzo ad entrare come attore nel mondo del porno, diventando presto una star rinomata nel settore grazie al suo carisma e, soprattutto, grazie alle sue doti fisiche. Libero, slegato da vincoli di ogni sorta e lontano dagli abusi della madre, Dirk si gode pienamente la sua nuova vita, ma da un eccesso all’altro finirà per chiedere sempre di più a se stesso e agli altri, rischiando di far crollare tutto quello che nel tempo è riuscito a costruire.

Boogie Nights

Nonostante Dirk sia la figura centrale attorno alla quale ruotano le vicende del film, in Boogie Nights non si ha mai la sensazione che la sua storia personale sia il solo focus primario. In realtà, Paul Thomas Anderson trascina lo spettatore in un universo più ampio, quello di un’industria cinematografica parallela ad Hollywood (L’altra Hollywood, appunto, come ben evidenziato dalla sottotitolazione italiana) ma altrettanto presente nell’immaginario nonostante i prodotti e le dinamiche differenti, con lo scopo di sviscerarne le peculiarità, le derive, le contraddizioni. A prendere forma è soprattutto un clima di trasgressioni, di libertà smodate e di guizzi creativi che rappresenta perfettamente il clima culturale degli anni ’70.

Tra situazioni al limite, relazioni improbabili, sovrabbondanza di sesso e droga, il film di Anderson ci porta a fare la conoscenza di un ricco ensemble di personalità complesse e sfaccettate, tutte legate alle produzioni cinematografiche di Jack Horner, dalla pornostar dipendente da cocaina Amber (Julianne Moore) all’incompresa e bullizzata Rollergirl (Heather Graham), dal sinistro produttore conosciuto come il Colonnello (Robert Ridgely) all’appassionato di musica Buck (Don Cheadle). E ancora: il giovane attore Reed (John C. Reilly) il quale convincerà Dirk a darsi al canto, l’omosessuale represso Scotty (Philip Seymour Hoffman), l’assistente regista Little Bill (William H. Macy) costantemente tradito dalla moglie, lo spacciatore Rahad (Alfred Molina)…

Boogie Nights

Da questo punto di vista, nell’economia complessiva dell’opera, i ruoli dei “comprimari” risultano come altrettanto importanti e fondamentali per mettere in scena adeguatamente lo Zeitgeist in esame, esattamente come accade ad esempio nei film di Quentin Tarantino. Proprio in relazione al collega, non stupisce come Boogie Nights sia proprio il film con il maggior respiro tarantiniano realizzato da Paul Thomas Anderson, sia nelle frenetiche interazioni tra i personaggi sia nel ricorso all’ironia e alla violenza, senza comunque dimenticare la grande influenza esercitata anche dal cinema di Robert Altman e di Martin Scorsese.

Con una progressiva escalation, Boogie Nights si muove di eccesso in eccesso sino a raggiungere il suo climax definitivo nel condurre i racconti personali dei suoi personaggi a dei veri e propri punti di rottura, ossia a nuove fratture nel loro vissuto che finiscono inevitabilmente per sommarsi ai tormenti del passato. La sensazione di equilibrio apparente coltivata nella prima metà dell’opera finisce presto per infrangersi, rendendo manifesta a più riprese la fragilità costitutiva dei personaggi del film, con Paul Thomas Anderson che di fatto riesce non solo a catturare il riflesso di un’epoca, ma anche le tensioni intrinseche ed universali dell’essere umano.

Daniele Sacchi